Accolto il ricorso della famiglia di una giovane studentessa, affetta da epatite B per una trasfusione infetta a cui venne sottoposta due giorni dopo la nascita

Il Tribunale di Lecce ha riconosciuto a una studentessa di 24 anni il diritto a un risarcimento pari a 50 mila euro, oltra che a un assegno mensile di 800 euro come vitalizio, per una trasfusione infetta a cui venne sottoposta subito dopo la nascita.

Alla neonata, all’epoca, era infatti stata riscontrata un “malattia emolitica neonatale da incompatibilità materno-fetale” che aveva reso necessaria la trasfusione. L’anno successivo la famiglia aveva scoperto che la piccola era affetta da epatite B. Una patologia che l’ha accompagnata nel corso degli anni sottoponendola, oltre che ai rischi legati alla malattia, allo stress dei continui controlli.

I genitori, già nel 1995 avevano chiesto l’indennizzo previsto dalla legge n. 210/1992.

La norma prevede, per coloro che riportino danni irreversibili da epatiti post trasfusionali, il riconoscimento di un indennizzo da parte dello Stato. Il giudizio sanitario sul nesso la somministrazione di emoderivati e la menomazione dell’integrità psico-fisica spetta a un apposita commissione medico ospedaliera.

Nel caso in esame – come riporta il Messaggero –   la commissione aveva respinto la domanda. Ma nei giorni scorsi, a distanza di 24 anni, il Giudice del lavoro del capoluogo salentino, ha accolto il ricorso presentato dal dalla famiglia tramite un legale specializzato in materia. I test sull’epatite B – ha dichiarato l’avvocato – c’erano già nel ’78 e quella trasfusione è risultata infetta. Dal ’90, per legge, andavano fatti controlli su tutte le donazioni ed era già entrato in vigore il piano sangue”.

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