Tumore al seno, ritardano l’intervento e le asportano la mammella

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Una donna di 35 anni ha dovuto subire l’asportazione della mammella a causa del ritardo nell’esecuzione dell’intervento per una neoformazione maligna (tumore al seno). La quarta sezione della Cassazione penale (dep. 9 ottobre 2023, n. 40723) ha riconosciuto la responsabilità del medico che ha eseguito l’operazione a due mesi dalla diagnosi oncologica.

Secondo i giudici, se l’intervento fosse stato più tempestivo, avrebbe consentito una semplice, e meno invasiva, asportazione del quadrante. In questo quadro il ritardo diagnostico del tumore al seno costituisce una lesione penalmente rilevante.

Il decorso del tempo, causato dal ritardo diagnostico in ambito oncologico, ha infatti determinato responsabilità del Medico in quanto la scienza medica sostiene la necessità di una sollecita diagnosi delle patologie tumorali e che la prognosi oncologica varia a seconda della tempestività dell’accertamento.

In tema di responsabilità penale medica, risponde di lesioni personali il Medico che ritarda la diagnosi e la terapia quando, se diagnosi e terapia fossero state più tempestive, l’accrescimento della neoformazione non si sarebbe verificato in uguale misura.

I fatti

Al Medico è stato contestato il ritardo nell’esecuzione dell’asportazione della neoformazione maligna alla mammella della paziente, in specie eseguita a distanza di due mesi dalla diagnosi oncologica di tumore al seno. In tale spazio temporale la neoplasia della paziente raddoppiava di dimensione.

Secondo i Giudici di merito, il ritardo diagnostico costituisce una lesione penalmente rilevante, perché l’intervento cui la paziente veniva sottoposta fu quello più invasivo di asportazione della mammella, laddove invece se più ravvicinato avrebbe consentito la più semplice, e meno invasiva, asportazione del quadrante.

Nel giudizio di merito il Medico sostiene nella sua tesi difensiva non essere stata dirimente l’esecuzione dell’intervento a distanza di due mesi in quanto la stadiazione della neoplasia sarebbe rimasta immutata.

Invece, i Giudici osservano che l’avvenuto accrescimento della neoformazione neoplastica configura un aggravamento della malattia, a prescindere dall’immutata stadiazione.

Difatti, “la notevole differenza delle dimensioni del nodulo tumorale tra la prima ecografia e quella eseguita prima dell’intervento chirurgico” risultava “compatibile con l’elevatissimo indice di accrescimento delle neoplasie mammarie rilevabile in una donna di 35 anni, quale era la paziente”.

Il medico non ha impedito l’aggravamento della malattia

La Suprema Corte, rammenta che la malattia è da intendersi “nella alterazione di natura anatomica da cui derivi una limitazione funzionale o un significativo processo patologico o l’aggravamento di esso o una compromissione delle funzioni dell’organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa” e che l’aggravamento della malattia deve essere inteso “in relazione al maggior tempo necessario per determinare la guarigione o la stabilizzazione del processo patologico”.

Nel caso concreto, il nodulo maligno alla mammella è pacificamente da considerarsi “malattia”, così come lo è “l’aumento delle dimensioni del nodulo”, quando detto incremento dimensionale è derivante dalla mancata esecuzione di intervento chirurgico urgente. Di talché è responsabile il Medico che non ha impedito “l’aggravamento della malattia”.

Gli Ermellini, solo ai fini civili perché è intervenuta la prescrizione, chiariscono che il decorso del tempo (come detto 2 mesi) determinava una alterazione anatomica rilevante e vi è responsabilità del Medico anche alla luce del fatto che la scienza medica sostiene la necessità di una sollecita diagnosi delle patologie tumorali e che la prognosi varia a seconda della tempestività dell’accertamento.

Avv. Emanuela Foligno

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