La Corte di Cassazione si è espressa in merito alla possibilità di vendere un terreno senza il certificato di destinazione

È possibile vendere un terreno senza il certificato di destinazione urbanistica?
Con la sentenza n. 23541/2017 depositata il 9 ottobre dalla Cassazione, i giudici hanno approfondito il tema fornendo maggiori precisazioni.
Secondo la Cassazione, vendere un terreno senza il certificato di destinazione non si può. Questo perché gli atti di trasferimento di terreni privi di tale certificato sono affetti da nullità assoluta.
Con questa sentenza, gli Ermellini hanno consacrato la rilevabilità d’ufficio del predetto vizio e la sua deducibilità da chiunque vi abbia interesse.

Il regime di riferimento è infatti quello emergente dagli articoli 18, secondo comma, e 40, secondo comma, della legge numero 47/1985.

Questo ha l’obiettivo di scoraggiare e reprimere gli abusi edilizi e non dà alcun rilievo allo stato di buona o mala fede dell’acquirente.
Come rilevato dalla Corte, vendere un terreno senza il certificato di destinazione è una situazione differente rispetto a quella che interessa gli atti giuridici che hanno a oggetto dei terreni abusivamente lottizzati a scopo residenziale.
Stesso discorso per le unità edilizie costruite in assenza di concessione.

In questi casi, il regime normativo di riferimento è quello di cui agli articoli 31, quarto comma, della legge numero 1150/1942 e 15, settimo comma, della legge numero 10/1977.

Questi prevedono una nullità dal carattere relativo, operante solo nel caso in cui dai predetti atti non risulti che l’acquirente era a conoscenza della mancanza di lottizzazione autorizzata, nel primo caso, e della mancanza della concessione, nell’altro.
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Catanzaro con la sentenza impugnata aveva confermato la decisione del Tribunale di Castrovillari di rigettare una domanda di nullità della vendita di un terreno.
Questa era stata fatta senza che nell’atto di trasferimento fosse fatta menzione del fabbricato abitativo che esisteva sul terreno stesso.
Quest’ultimo era stato infatti costruito in base a una concessione edilizia del 15 aprile 1986.
Ebbene, il primo giudice aveva giudicato l’attrice priva di interesse ad agire, mentre la Corte d’appello aveva confermato il rigetto con una diversa motivazione.
In questo frangente era stato riconosciuto l’interesse dell’appellante a far dichiarare la nullità del contratto, con lo scopo di poter assoggettare il terreno ad esecuzione forzata.
Al contempo, però, si rilevava che la stessa non potesse chiedere la dichiarazione di nullità per mancata menzione del fabbricato esistente sul terreno, in quanto questa sarebbe stata azionabile solo dalle parti contraenti.
Alla luce della decisione della Cassazione, il giudice di secondo grado dovrà ora rivedere la sua posizione.
 
 
 
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