Nel reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, è il pubblico ministero che deve provare il dolo, dimostrando che l’imputato, pur essendo nelle condizioni di provvedere al mantenimento della figlia minore, si sia consapevolmente sottratto a tale obbligo

La Corte d’appello di Trento aveva assolto l’imputato dal reato previsto dall’art. 570 c.p. (violazione degli obblighi di assistenza familiare), a lui contestato per “aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla figlia minore, non avendo corrisposto a titolo di mantenimento la somma di 400 ero mensili, fissata dal Tribunale di Bolzano”.

Contro tale pronuncia il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Trento ha proposto ricorso per cassazione, lamentando l’erronea affermazione della mancata prova del dolo. A detta della difesa la sentenza impugnata era viziata nella parte in cui aveva ritenuto che l’imputato, in ragione del suo stato detentivo intervenuto nel corso dell’intero anno 2012, si fosse trovato in uno stato di assoluta impossibilità incolpevole di adempiere ai propri obblighi genitoriali, tenuto conto che la madre aveva dichiarato che egli “aiutava economicamente la figlia, quando poteva”.

La questione giuridica

La questione posta al vaglio della Suprema Corte attiene al se ed eventualmente a quali condizioni lo stato di detenzione del soggetto obbligato possa rilevare ai fini della confutabilità del reato previsto dall’art. 570 c.p.

Ebbene, nel caso di specie, era pacifico – come spiegato dalla corte d’appello – che: a) l’imputato fosse stato detenuto in carcere per l’intero periodo in contestazione; b) che la madre avesse confermato che egli “aiutava la figlia quanto poteva”.

La decisione

Al contrario, il Pubblico ministero impugnante nulla aveva dedotto al riguardo, essendosi limitato ad affermare che l’imputato non avesse fornito la prova, come avrebbe dovuto, della sua incapacità assoluta.

Ma tale ragionamento non è stato condiviso. Invero, la giurisprudenza della Cassazione ha più volte ribadito che “sebbene la situazione di detenzione prolungata non possa considerarsi quale causa giustificativa dell’inadempimento, tuttavia essa può essere valutata ai fini della verifica sulla sussistenza dell’elemento soggettivo, cioè della coscienza e volontà di sottrarsi, senza giusta causa, agli obblighi inerenti alla propria qualità e nella consapevolezza del bisogno in cui versa il soggetto passivo” (Sez. 6, n. 1960/2014).

Per queste ragioni il ricorso è stato rigettato perché privo di fondamento (Sesta Sezione Penale, sentenza n. 4116/2020).

La redazione giuridica

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