La decisione in esame, sebbene riguardante la materia tributaria, tratta in maniera interessante della distribuzione degli oneri probatori delle parti (Corte di Cassazione, V – Tributaria civile, ordinanza 24 marzo 2025, n. 7760).
La vicenda trae origine dalle decisioni prese, in primo e secondo grado, dalle Commissioni Tributarie Lazio.
I fatti
La società contribuente presentava istanza di rimborso delle eccedenze dei versamenti IRES eseguiti per gli anni di imposta dal 2011 al 2014. Deduceva di aver realizzato 7 impianti fotovoltaici, tra il 2009 ed il 2010, senza aver però beneficiato dell’agevolazione prevista dall’art. 6, commi 13 e ss., della legge 388/2000, in particolare della deduzione del cd. sovra costo ambientale.
La situazione di incertezza circa la cumulabilità della detta agevolazione con le tariffe incentivanti di cui al Conto Energia aveva indotto la contribuente a non usufruire immediatamente della prima; solo con il D.M. 5 luglio 2012 (V Conto Energia) il dubbio era stato sciolto in favore della cumulabilità. Con la Risoluzione n. 58/E del 20 luglio 2016, infine, l’ADER aveva indicato le modalità procedimentali per poter usufruire della detta agevolazione, ovvero: la presentazione a) di una dichiarazione integrativa o b) di una istanza di rimborso.
La contribuente richiedeva, quindi, il rimborso di complessivi 840.843 euro ed impugnava innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma il silenzio-rifiuto formatosi una volta trascorso il termine di 90 giorni dall’istanza.
La CTP accoglieva il ricorso, evidenziando che la contribuente aveva prodotto una perizia stragiudiziale a firma di un professionista esperto del settore, estimativa del valore dell’investimento ambientale realizzato, e riconoscendo la cumulabilità tra le tariffe incentivanti del Il Conto Energia e l’agevolazione Tremonti Ambiente.
ADER proponeva appello avverso la decisione dei giudici di primo grado, affidandosi a due motivi. La CTR del Lazio confermava la decisione di primo grado.
Il vaglio della Corte di Cassazione
ADER sostiene che la CTR avrebbe erroneamente qualificato l’eccezione di decadenza dal rimborso, relativamente all’anno 2011, come ‘nuova’. Invece la tardività dell’istanza di rimborso è rilevabile d’ufficio, anche in sede di gravame, e, pertanto, la relativa doglianza può essere avanzata dall’Ufficio per la prima volta in sede di appello.
Sempre secondo l’Agenzia la decisione della CTR nel merito della suddetta eccezione dovrebbe ritenersi tamquam non esset, atteso che con la declaratoria di inammissibilità il giudice si è spogliato della potestas iudicandi; pertanto, tale ulteriore ratio decidendi non potrebbe nemmeno formare oggetto di impugnazione.
Le doglianze sono inammissibili
La CTR ha dichiarato inammissibile la detta eccezione in quanto tardiva e l’ha, poi, rigettata nel merito, ritenendo tempestiva l’istanza di rimborso proposta dalla contribuente.
Solo la prima ratio decidendi (in punto di inammissibilità) viene attaccata dal motivo di ricorso de quo. Espressamente si afferma nel ricorso che la motivazione (di rigetto nel merito della stessa) non può formare oggetto di specifico motivo di impugnazione, in quanto tamquam non esset e, pertanto, non può assurgere al rango di ratio decidendi.
L’assunto della ricorrente è errato. Invero, la giurisprudenza richiamata nel ricorso a sostegno della tesi sostenuta fa riferimento all’ipotesi (diversa da quella oggetto del presente giudizio) in cui il Giudice del merito abbia dichiarato inammissibile una domanda, un capo di essa o un motivo d’impugnazione, in tal modo spogliandosi della potestas iudicandi. Solo in tal caso, “ove abbia ugualmente proceduto al loro esame nel merito, le relative argomentazioni devono ritenersi ininfluenti ai fini della decisione e, quindi, prive di effetti giuridici con la conseguenza che la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnarle, essendo invece tenuta a censurare soltanto la dichiarazione d’inammissibilità la quale costituisce la vera ragione della decisione”.
Le censure delle ragioni su cui si basa la sentenza
Pertanto, stante l’autonomia delle dette rationes la Cassazione ha già affermato che “nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, “in toto” o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggono.
Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perché il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato”.
La violazione dei principi governanti la distribuzione degli oneri probatori
Venendo alla lamentata violazione dei principi governanti la distribuzione degli oneri probatori, secondo l’Agenzia la CTR avrebbe ritenuto assolto l’onere probatorio incombente sulla contribuente circa la determinazione del ‘sovraccosto ambientale’ deducibile sulla base di una perizia stragiudiziale di parte.
Ebbene, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cc si configura unicamente nell’ipotesi in cui il Giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando il ricorrente intenda lamentare che, a causa di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, la sentenza impugnata abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata non avesse assolto tale onere (in tal senso viene richiamata Cass., 21/03/2022, n. 9055).
Nella specie la CTR, sulla base dei diversi elementi dedotti dalla parte e, in particolare, sulla scorta di una perizia stragiudiziale, ha ritenuto assolto l’onere probatorio incombente sulla contribuente circa la quantificazione del sovraccosto ambientale deducibile; in tal modo, non ha affatto violato il disposto dell’art. 2697 cc, come dedotto dalla Agenzia.
In definitiva, la Cassazione rigetta integralmente il ricorso.
Avv. Emanuela Foligno