La Regione ha avviato un’indagine sul caso della donna respinta da 23 strutture. Intanto non si placano le polemiche

La Regione Veneto ha avviato un’indagine per fare chiarezza su quanto denunciato nei giorni scorsi da una donna del padovano, con il supporto della Cgil, in relazione al diniego ricevuto da 23 strutture di praticarle l’aborto secondo quanto previsto dalla legge 194.
In Veneto, tuttavia, i dati riportati in una relazione del Ministero della Salute al Parlamento, fotografano una realtà che sembrerebbe garantire le prestazioni in tema di interruzione volontaria della gravidanza. Nonostante un tasso di medici obiettori pari al 76,2% (contro il 70% di media in Italia), nel 2015 sono stati effettuati 5.044 aborti a fronte di 38.786 nascite, con un rapporto di 130 ogni 1.000 nati vivi (la media nazionale è 185). L’88,6% delle donne abortisce nella provincia di residenza, mentre solo l’11,4% è costretta a recarsi in un altro territorio; una situazione lievemente migliore rispetto alla media.
Rispetto ai tempi di attesa fra certificazione e intervento, il 49,9% delle Ivg avviene entro 14 giorni; il 26,3% entro 21 giorni; il 15,2% entro 28 giorni, mentre l’8,6% delle donne deve attendere oltre 4 settimane. Le strutture in cui si praticano interruzioni volontarie di gravidanza, infine, sono 34, pari al 77,3% dei reparti di ostetricia, un dato superiore alla media del 59,4%.
Intanto però la vicenda ha fatto montare la polemica politica. Se il Governatore regionale Zaia e l’Assessore alla Salute, Luca Coletto, preferiscono attendere l’esito dell’inchiesta per pronunciarsi, il consigliere del PD Alessandra Moretti ha annunciato la presentazione in Consiglio regionale di una proposta di legge “che preveda soluzioni organizzative tali da garantire che in tutti gli ospedali e nelle strutture sanitarie autorizzate sia operante una quota di medici non obiettori, da reperire tramite procedure di mobilità del personale e, se necessario, tramite nuove assunzioni, al fine di garantire realmente il diritto all’aborto”.
“E’ gravissimo – ha affermato Moretti – che alla sofferenza e al dolore che seguono scelte difficili, come quella di non proseguire una gravidanza, si debba infatti aggiungere quella di rivolgersi ad un ospedale ‘ghetto’, in cui relegare i medici non obiettori e le donne, che invece devono essere accolte in ogni struttura pubblica”.

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