Dopo aver tratto in inganno una quindicenne conosciuta su Facebook, abusa di lei portandola in un luogo buio ed appartato e costringendola a subire atti sessuali. La Cassazione conferma la condanna

La vicenda

Aveva tratto in inganno una minore di appena 15 anni conosciuta tramite Facebook. Al primo appuntamento era sopraggiunto da tergo per non farsi vedere, le aveva legato le braccia dietro la schiena con del nastro adesivo con cui le aveva coperto anche gli occhi, l’aveva condotta in un bosco ed aveva cominciato a palpeggiarle il seno; condotta interrotta dopo che la minore aveva iniziato a correre e gridare aiuto.
I fatti risalgono al marzo del 2016.
In primo grado l’uomo era stato condannato alla pena di legge per il reato di violenza sessuale a danno di minore di cui all’art. 609-bis, secondo comma, n. 2, cod. pen.; la sentenza parzialmente riformata, quanto alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, veniva confermata anche in appello.
Seguiva, pertanto, il giudizio di legittimità, su ricorso presentato dal difensore dell’imputato.

I motivi di ricorso

Con un primo motivo, il ricorrente denunciava la dubbia sussistenza del reato, posto che la momentanea immobilizzazione della persona offesa era stata concordata tra le parti prima dell’incontro; inoltre, la ragazza non era stata spogliata, non era stata costretta a consumare rapporti sessuali, aveva riacquistato la libertà di movimento e determinazione in un tempo brevissimo; l’imputato, percepito il dissenso, aveva infatti, desistito dall’azione.
Con il secondo motivo lamentava, invece, il vizio di motivazione, ritendendo al più configurabile il tentativo di violenza sessuale, non essendo attendibile il racconto della ragazza che aveva riferito di palpeggiamenti dell’uomo durante e dopo la caduta al suolo, ed in ogni caso non essendosi verificata una concreta intrusione nella sfera sessuale della donna.
Ma il ricorso non è stato accolto, in quanto inammissibile, infondato e privo di specificità.
La Corte territoriale, con motivazione immune da censure – chiariscono i giudici della Suprema Corte di Cassazione– ha accertato il reato contestato osservando che non corrispondeva al vero che la giovane fosse consenziente ad un contatto sessuale con l’imputato sol perché aveva previamente intrattenuto con lui un chat erotica. Ed invero, l’uomo, di anni 53, si era presentato su Facebook come uno studente universitario di 19 anni dalle accattivanti fattezze fisiche, donde la curiosità della persona offesa.
Correttamente i Giudici di merito hanno precisato che, ammesso pure il consenso alle effusioni sessuali al primo appuntamento, quest’ipotetico consenso era insanabilmente viziato dall’inganno sulla persona, non essendo indifferente il soggetto con cui si era disponibili alle suddette effusioni.

La violenza sessuale per costrizione e induzione

Del resto l’uomo per mettere in atto il suo proposito aveva presentato l’incontro con modalità al buio. Di qui non solo la violenza sessuale per costrizione, con riferimento all’atto specifico, ma anche per induzione, con riferimento alla fase preparatoria.
La condotta delittuosa era stata poi integralmente consumata, perché l’uomo le aveva palpeggiato il seno sia prima che dopo la caduta e grazie alle urla della ragazza era stata interrotta. Peraltro, la circostanza che l’uomo l’avesse slegata gli ha meritato il riconoscimento delle attenuanti nella massima estensione.
Pienamente motivato è, stato dunque, anche il diniego del fatto di minore gravità con riferimento alle modalità della condotta, al rischio connesso al suo protrarsi, al disagio psicologico derivato alla ragazza da tale accadimento.
Sulla base di tali considerazioni il ricorso è stato dichiarato inammissibile e, il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di 2.000 euro in favore della Cassa delle Ammende, oltre alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili.

La redazione giuridica

 
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