La donna era accusata di abuso dei mezzi di correzione per aver causato con i suoi metodi rigidi e violenti, disagi psico-fisici agli alunni di una scuola d’infanzia

Abuso dei mezzi di correzione commesso in danno degli alunni, di età compresa tra i 3 e i 5 anni, di una scuola d’infanzia. Questo il reato contestato, ai sensi dell’art. 571 del codice penale, a un’insegnante accusata, con i suoi metodi, di aver cagionato ai bambini disagi psico fisici, come disturbi del sonno, rifiuto della scuola, manifestazioni di pianto e intolleranza ai rimproveri.

La Corte di appello aveva confermato la sentenza di condanna emessa in primo grado dal Gup del Tribunale, all’esito del giudizio abbreviato. Il Collegio, in particolare, in relazione all’integrazione dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato, aveva condiviso l’iter argomentativo del primo giudice.

Quest’ultimo, pur dando atto del giudizio espresso dal perito d’inaffidabilità delle dichiarazioni rese dai minori in sede d’incidente probatorio, per la tardività dell’atto rispetto agli eventi e per l’ormai sopravvenuta influenza suggestiva esterna o compromissione della capacità a testimoniare degli stessi, aveva fatto leva su quanto accertato alla luce delle originarie e spontanee dichiarazioni rese da alcuni minori nell’immediatezza dei fatti ai propri genitori e che avevano trovato un obiettivo e coerente riscontro esterno nelle deposizioni testimoniali della dirigente scolastica e di un’altra maestra che coadiuvava l’imputata nella stessa classe.

Era infatti, emerso con certezza che l’insegnante mancava di pazienza nell’interagire con gli alunni, soprattutto con i più fragili, lenti o introversi.

Li umiliava verbalmente, utilizzava un martelletto sbattuto sulla cattedra per imporre l’ordine e il silenzio, urlava e sgridava i bambini con toni di voce molto alti, aveva dato uno schiaffo a due di loro e minacciava i più vivaci e disobbedienti di rinchiuderli in un armadietto. Metodi che avevano determinato nei bambini comportamenti anomali e regressivi rispetto al processo di crescita, con manifestazioni di ansia, paura, disturbi del sonno e alimentari, incontinenza e disagio psicologico.

Nel ricorrere per cassazione, l’imputata deduceva, tra gli altri motivi, che la Corte d’appello avesse ritenuto sussistente, ai fini della rilevanza penale della fattispecie, il rischio di causazione di malattia nel corpo o nella mente, che non trovava invece alcun riscontro probatorio.

La Suprema Corte, tuttavia, con la sentenza n. 7969/2020 ha ritenuto il ricorso inammissibile.

Per gli Ermellini, il giudice d’appello aveva linearmente ricostruito il compendio probatorio posto a fondamento dell’affermazione di responsabilità dell’imputata, confutando i motivi di gravame e ponendo in rilievo i dirimenti profili storico-fattuali della vicenda. Il tutto facendo leva da un lato “sulle spontanee e immediate propalazioni rese dai bambini ai genitori, da questi puntualmente e coerentemente riferite de relato o direttamente verificate, in merito a specifici comportamenti o episodi vessatori della maestra, così da travalicare le finalità proprie del normale processo educativo”; dall’altro “sugli obiettivi riscontri probatori della genuinità e conducenza di tali racconti, rinvenuti nelle circostanziate e univoche dichiarazioni della dirigente scolastica e della maestra che si alternava con l’imputata nella stessa classe: riscontri che s’estendevano agli effetti nocivi delle denunziate condotte sulla salute psichica dei minori, pure direttamente rappresentati dai genitori e individuati in atteggiamenti frutto di un evidente stato di ansia e di disagio e in una serie di disturbi psico-somatici”.

Per la Cassazione, in ambito scolastico, il potere educativo o disciplinare, quale che sia l’intenzione del soggetto attivo, deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall’ordinamento o consistere in trattamenti afflittivi dell’altrui personalità. Pertanto integra il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina il comportamento dell’insegnante che faccia ricorso a qualunque forma di violenza, fisica o morale, ancorché minima ed orientata a scopi educativi

I Giudici di merito, per la Suprema Corte, avevano sottoposto ad un rigoroso vaglio critico tutti i profili della vicenda e, disattendendo motivatamente la tesi difensiva della radicale inaffidabilità del racconto dei bambini, avevano affermato, con congrue ed esaustive argomentazioni, come l’accertato impiego di metodi educativi rigidi ed autoritari, basati sul ricorso a comportamenti violenti o costrittivi, del tipo di quelli utilizzati dall’imputata, fosse pericoloso e talora dannoso per la salute psichica degli alunni.

La redazione giuridica

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