L’uso della violenza finalizzata a scopi educativi non può mai ritenersi ammissibile. Ciò sia per il per il primato che l’ordinamento attribuisce alla dignità del minore, sia perché non può perseguirsi, quale meta educativa, la sensibilità ai valori di pace, di tolleranza, di convivenza, utilizzando un mezzo che tali fini contraddice

La vicenda

Le telecamere interne di una scuola elementare avevano ripreso un’insegnante fare uso della violenza, percuotere, tirare i capelli e maltrattare i propri allievi.
Per tali motivi, la donna era stata denunciata e sin da subito sottoposta agli arresti domiciliari.
A seguito di impugnazione, il Tribunale del riesame di Reggio Calabria, riformava l’ordinanza emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari della stessa sede, sostituendo la misura coercitiva degli arresti domiciliari con quella interdittiva della sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio per la durata di dodici mesi nei confronti dell’indagata per il delitto di maltrattamenti.
Ma a detta della ricorrente siffatta ordinanza era illegittima, posto che il Tribunale del riesame aveva, travisato l’efficacia probatoria dei singoli episodi ripresi dalle videocamere; non era, infatti, stato provato il dolo unitario e l’abitualità della condotta. Ciò imponeva, al più, la riqualificazione del delitto in quello di abuso di mezzi di correzione, che, peraltro, in ragione della propria cornice edittale, non consente la adozione di alcuna misura interdittiva.
Ma le doglianze non sono state accolte neppure dai giudici della Suprema Corte di Cassazione.
Ed invero, le immagini registrate dalle videocamere avevano consentito di riscontrare la presenza di “condotte che travalicavano sia i comportamenti di rinforzo educativo e sia l’abuso dei mezzi di correzione, trasmodando nell’atteggiamento di violenza fisica e psicologica che concretizza il reato di maltrattamenti”.
Il Tribunale del riesame con motivazione congrua, aveva ritenuto, provato il clima di tensione emotiva sistematicamente instaurato all’interno delle classi dall’insegnante indagata, connotato da urla, reazioni esagerate aventi ad oggetto la punizione e la correzione degli alunni, nonchè episodi di compressione fisica di varia intensità, trasmodati in alcuni casi nell’utilizzo di violenza fisica di apprezzabile entità.
Per i giudici della Cassazione, la qualificazione adottata dalla ordinanza impugnata doveva ritenersi pienamente conforme ai principi di diritto costantemente ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità.

Educazione: no correzione violenta

L’uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore affidato, anche lì dove sia sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nell’ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti.
La giurisprudenza della Suprema Corte ha, del resto, stabilito, oltre venti anni fa, come con riguardo ai bambini il termine “correzione” va assunto come sinonimo di educazione, con riferimento ai connotati intrinsecamente conformativi di ogni processo educativo. In ogni caso non può ritenersi tale l’uso della violenza finalizzato a scopi educativi: ciò sia per il primato che l’ordinamento attribuisce alla dignità della persona, anche del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione (se non addirittura di disposizione) da parte degli adulti; sia perchè non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, di tolleranza, di convivenza, utilizzando un mezzo violento che tali fini contraddice. Ne consegue che l’eccesso di mezzi di correzione violenti non rientra nella fattispecie dell’art. 571 c.p. (abuso di mezzi di correzione) giacchè intanto è ipotizzabile un abuso (punibile in maniera attenuata) in quanto sia lecito l’uso.

La decisione

Il Tribunale del riesame di Reggio Calabria, a detta degli Ermellini, aveva, pertanto, fatto buon governo di tali principi, ritenendo comunque sussistente il pericolo concreto ed attuale di recidiva, pur a fronte della sospensione, disposta già in via amministrativa, dall’Ufficio scolastico.
Tale misura doveva ritenersi, infatti insufficiente e in ogni caso non idonea a far ritenere scemate o insussistenti le esigenze cautelari ed, in specie, il pericolo di reiterazione della condotta criminosa contestata.
La sospensione deliberata in via amministrativa costituisce provvedimento autonomo, che può avere diversa e minore durata e con effetti diversi sul piano lavorativo e ha efficacia meramente interinale ed, operando rebus sic stantibus, potrebbe essere revocata o, comunque, annullata pur in pendenza del procedimento penale.

La redazione giuridica

 
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