Asportazione ernia discale e peggioramento delle condizioni di salute

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ernia-discale

La vittima contesta la omessa associazione, alla discectomia a cui si era sottoposto per l’asportazione di un ernia discale, di un intervento di discectomia al fine di mantenere lo spazio tra le vertebre e ricostruire la curva lordotica, così da ridurre le probabilità di degenerazioni discali ovvero ernie a livelli adiacenti.

Il caso

Il paziente espone che:

  • aveva convenuto in giudizio la società Multimedica per ottenere il risarcimento dei danni indicati come conseguenti a un’operazione chirurgica effettuata per una sopravvenuta ernia discale, ritenendo che avesse causato il successivo aggravamento delle proprie condizioni fisiche.
  • Aveva quindi allegato di essersi sottoposto, nel settembre 2001, all’asportazione di ernia discale effettuata mediante discectomia. Ma, dal febbraio 2011 il proprio quadro clinico era iniziato a peggiorare, con ulteriori problemi a carico della colonna vertebrale, e tale peggioramento egli riteneva essere derivato dall’errata scelta del tipo di intervento chirurgico praticato. In particolare a causa dell’omessa associazione, alla discectomia, di un opportuno intervento di artrodesi al fine di mantenere lo spazio tra le vertebre e ricostruire la curva lordotica, così da ridurre le probabilità di degenerazioni discali ovvero ernie a livelli adiacenti.

I giudizi di merito

Tribunale di Milano e Corte di Appello respingono la domanda del paziente.
Nello specifico, Giudici di secondo grado evidenziano:

  • – dalla CTU era emerso che il paziente aveva subìto due eventi traumatici, uno nel 2001, riferito in citazione, e un altro, nel 2003, trattato da altra struttura sanitaria; gli esiti delle radiografie effettuate tra il 2011 e il 2014 indicavano che le patologie da cui risultava affetto riguardavano non solo le vertebre interessate dall’intervento del 2001, ma anche quelle oggetto del trauma del 2003. I pregiudizi lamentati erano attribuibili sia agli esiti traumatici sulla colonna vertebrale (infortunio calcistico del 2001 e incidente stradale del 2003), sia all’evoluzione degenerativa delle vertebre cervicali (osteoliti), con la conseguente necessità di sottoporsi a due interventi chirurgici i quali avevano fisiologicamente e non patologicamente ridotto a distanza di tempo la mobilità, provocando manifestazioni dolorose.
  • – Per le suddette ragioni non era possibile secondo il Consulente imputare il danno all’intervento chirurgico del 2001.
  • – La tesi del paziente, secondo cui la scelta medica di non inserire una protesi (c.d. artrodesi) dopo la rimozione dell’ernia discale avrebbe dovuto ritenersi essere stata la causa del successivo peggioramento fisico, era invece stata smentita dalla circostanza che le patologie emerse nel 2011 avevano riguardato pure le vertebre rispetto alle quali, nel 2003, era stata poi effettuata l’artrodesi con inserzioni di una protesi di ceramica… il CTU aveva osservato che nel 2001 non erano state ancora inventate protesi discali clastiche, sicché l’artrodesi si praticava inserendo tra le vertebre elementi rigidi, come un frammento di altro osso prelevato dal paziente oppure protesi di ceramica. Per questo, sia effettuando una semplice discectomia con successiva fusione naturale delle vertebre, sia con un’artrodesi aggiuntiva, il paziente avrebbe comunque accusato una minore mobilità.

La scelta terapeutica era adeguata

Detto in altri termini, i Giudici di appello, sua scia della CTU, hanno dato atto che all’epoca dei fatti, la semplice discectomia e la discectomia unita ad artrodesi erano due modalità di intervento entrambe adeguate, alternative ed equivalenti, e l’intervento effettuato aveva rispettato i corretti canoni della scienza medica, tenuto in particolare conto del fatto che dai più autorevoli studi scientifici dell’epoca si evinceva che non poteva esserci alcun vantaggio nella scelta terapeutica di posizionare una artrodesi o procedere con semplice discectomia, mentre solo nel 2005 si era iniziata a considerare l’alternativa del posizionamento di protesi mobili, perché solamente in tale periodo erano state inventate protesi discali elastiche.

Inutile il ricorso del paziente alla Corte di Cassazione (Cassazione civile, sez. III, 04/07/2024, n.18332).

Il paziente lamenta nuovamente la tecnica d’intervento asseritamente unilateralmente scelta dai sanitari per l’asportazione dell’ernia discale, in luogo del più idoneo e preferibile intervento con artrodesi. Quest’ultimo sarebbe stato certamente scelto qualora gli fosse stato prospettato, come non avvenne, illustrando le maggiori chance di questa diversa tecnica chirurgica, con conseguente lesione del diritto all’adeguata informazione e libera scelta. La scelta della differente metodologia chirurgica avrebbe dovuto poggiare sul criterio dell’età (inferiore ai 50 anni) e della localizzazione delle lesioni, e il deducente, all’epoca dei fatti, aveva 32 anni e una singola lesione ben localizzata. Il tutto con maggiori chance, di almeno il 90%, di avere poi uno stato fisico non pregiudicato come quello che al contrario si era concretizzato, secondo quanto confermato da studi universitari, illustrati in comparsa conclusionale in appello, che avevano attestato successi del differente approccio terapeutico in ben 34 pazienti su 37, trattati dal 1997 al 1999.

Le ipotesi per la risarcibilità del danno

Gli Ermellini respingono tutte le censure e primariamente ribadiscono che nell’ambito della responsabilità medico-chirurgica, ai fini della risarcibilità del danno inferto sia alla salute (per inadempiente esecuzione della prestazione sanitaria), sia al diritto all’autodeterminazione (per violazione degli obblighi informativi) possono verificarsi distinte ipotesi:

  • la prima: se ricorrono a) il consenso presunto (ossia può presumersi che, se correttamente informato, il paziente avrebbe comunque prestato il suo consenso). b) Il danno iatrogeno (l’intervento ha determinato un peggioramento delle condizioni di salute preesistenti). c) La condotta inadempiente ovvero colposa del medico, è risarcibile il solo danno alla salute del paziente, nella sua duplice componente relazionale e morale, conseguente alla non corretta esecuzione, inadempiente ovvero colposa, della prestazione sanitari.
  • La seconda: se ricorrono a) il dissenso presunto (ossia può presumersi che, se correttamente informato, il paziente avrebbe rifiutato di sottoporsi all’atto terapeutico). b) Il danno iatrogeno (l’intervento ha determinato un peggioramento delle condizioni di salute preesistenti). c) La condotta inadempiente ovvero colposa del medico nell’esecuzione della prestazione sanitaria, è risarcibile sia, per intero, il danno, biologico e morale, da lesione del diritto alla salute, sia il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente, e cioè le conseguenze dannose, diverse dal danno da lesione del diritto alla salute, allegate e provate (anche per presunzioni).

È risarcibile la sola violazione del diritto all’autodeterminazione, sul piano puramente equitativo in caso di dissenso presunto e danno iatrogeno, senza condotta inadempiente-colposa dei sanitari

È risarcibile la lesione della salute in relazione alla eventuale situazione “differenziale” tra il maggiore danno biologico conseguente all’intervento e il preesistente stato patologico invalidante del soggetto.

Il danno da lesione del diritto di autodeterminazione

Ciò ribadito, il paziente sostiene che si sarebbe diversamente determinato rispetto a quella tipologia d’intervento chirurgico, pur volendola assumere corretta, e, in ogni caso, la condotta dei sanitari sarebbe stata invece colposamente addebitabile, avendo optato per una tecnica con significative possibilità inferiori di evitare gli aggravamenti poi effettivamente intervenuti. Però, il paziente non dimostra che aveva domandato il ristoro del danno da lesione del diritto all’autodeterminazione, nel senso che tutte le deduzioni svolte in Cassazione manifestano una correlazione all’assunto che il paziente avrebbe rifiutato quel tipo d’intervento optando per un altro al tempo parimenti eseguibile, e non a una diversa lesione di una propria distinguibile autodeterminazione. Questo però non è sufficiente a spiegare in quale modo sarebbe stata dedotta una lesione della propria autonoma determinazione diversa da quella inerente all’ipotizzato rifiuto del tipo d’intervento medico posto in essere.

Ed ancora, il paziente non indica in alcun modo il raffronto tra i benefici dell’intervento con artrodesi. Avrebbe potuto farlo con requisiti di età (sopra menzionati) e localizzazione della lesione, con quelli pure ottenibili con l’altro intervento di semplice discectomia, visto che il CTU, con conclusione fatta propria dal Collegio di merito, si è espresso nei termini dell’equivalenza, al tempo, delle due tipologie d’intervento chirurgico: equivalenza inoltre supportata dalla circostanza che le patologie emerse nel 2011 avevano riguardato pure le vertebre rispetto alle quali era stata effettuata l’artrodesi con inserzioni, in relazione al sinistro del 2003, di una protesi di ceramica.

Conclusivamente, tutte le censure paiono tentare una rilettura istruttoria che comunque non è ammissibile in Cassazione.

Avv. Emanuela Foligno

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