Il nesso occasionale nell’infortunio in itinere

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Il ricorrente, assistente capo coordinatore della Polizia di Stato, nel 2006 è stato vittima di un incidente mentre tornava a casa in ciclomotore dopo il turno di servizio (infortunio in itinere). Lamenta il mancato riconoscimento della causa di servizio dell’infermità “sinovite CLBO dx e lesione LCA dx trattata chirurgicamente con ricostruzione”.

L’Amministrazione ha tenuto conto “…sia dei generici elementi prodotti a corredo della domanda dalla parte, sia risultanti dagli atti dell’Amministrazione”. Quindi ha sottolineato che considera “ai fini del riconoscimento della dipendenza, incombe sull’attore l’onere di evidenziare e documentare la sussistenza dei presupposti di legge per il riconoscimento stesso attraverso ad esempio il verbale dell’autorità di polizia intervenuta sul luogo di incidenti stradali, valide testimonianze e/o ogni altra idonea documentazione probatoria…”.

Il giudizio amministrativo

Il pubblico dipendente ha impugnato il provvedimento con il quale il Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale per le Risorse Umane, Servizio Trattamento di Pensione e Previdenza Divisione II in data 8/4/2019 ha disposto il mancato accertamento e declaratoria della dipendenza da causa di servizio, nonché di ogni atto ad esso presupposto connesso e conseguente, in particolare, del parere del Comitato di Verifica per le cause di servizio del M.E.F. del 14/1/2013.

Preliminarmente, “l’accertamento del nesso sussistente tra infortunio e percorso seguito, pur essendo decisivo ai fini della configurabilità del cd. infortunio in itinere, non esaurisce tutte le verifiche necessarie a stabilire il nesso causale tra attività lavorativa – sia pure in senso ampio – e l’evento dannoso.

L’incidente in itinere in giurisprudenza

La giurisprudenza ha in linea generale osservato che debba riconoscersi come dipendente da causa di servizio l’infortunio di cui rimane vittima il dipendente che si sia recato alla sua abitazione al termine del servizio, ovvero dalla sua abitazione al luogo di servizio. Più specificamente, ha chiarito che l’indennizzabilità dell’infortunio subito dal lavoratore nel percorrere “con mezzo privato” la distanza fra la sua abitazione ed il luogo di lavoro, postula:

  • a) la sussistenza di un nesso eziologico tra il percorso seguito e l’evento, nel senso che tale percorso deve costituire per l’infortunato quello “normale per recarsi al lavoro” e per tornare alla propria abitazione.
  • b) La sussistenza di un nesso almeno occasionale tra itinerario seguito ed attività lavorativa, nel senso che il primo non sia dal lavoratore percorso per ragioni personali o in orari non collegabili alla seconda.
  • c) La necessità dell’uso del veicolo privato, adoperato dal lavoratore, per il collegamento tra abitazione e luogo di lavoro, da accertarsi in considerazione della (in)compatibilità degli orari dei pubblici servizi di trasporto rispetto all’orario di lavoro dell’assicurato, ovvero della sicura non fruibilità dei pubblici servizi di trasporto qualora risulti impossibile, tenuto conto delle peculiarità dell’attività svolta, la previa determinazione della durata della prestazione lavorativa (viene fatto riferimento a Cassazione Civile, Sez. lav., 23 maggio 2008, n. 13376).

Calando tali principi al caso concreto, il Tribunale dà atto che nella documentazione di causa non è presente alcuna relazione delle autorità intervenute sul luogo dell’incidente, né dichiarazioni testimoniali e, non risultando quindi certi il tempo, il luogo e le modalità dell’infortunio. Quindi non possono essere ritenute provate le condizioni per la sua indennizzabilità.

Il ricorso viene rigettato a spese compensate (TAR Puglia, Bari, sez. III, Sentenza 14 marzo 2024, n. 342).

Avv. Emanuela Foligno

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