Responsabilità civile, assicurazione di secondo rischio del medico dipendente

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L’assicurazione di secondo rischio è una clausola che condiziona l’intervento della compagnia assicurativa al superamento di un massimale già garantito da un’altra polizza. Questo principio è stato al centro della recente decisione della Cassazione, che ha affrontato il tema della copertura assicurativa per la responsabilità civile dei medici e il rapporto tra diverse compagnie coinvolte nella garanzia del risarcimento (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 7 marzo 2025, n. 6137).

La vicenda giudiziaria

Con decisione del 16/11/21 la Corte d’Appello di Palermo ha condannato l’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento e il medico, in solido tra loro, al pagamento, in favore della danneggiata, della somma di 40.827,76 euro a titolo di risarcimento dei danni subiti dalla paziente in conseguenza dell‘inesatto adempimento delle prestazioni mediche eseguite presso le strutture dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento.

Con la stessa decisione la Corte territoriale ha rigettato la domanda proposta per la condanna della Generali Assicurazioni S.p.A. a tenere indenne il medico di quanto dovuto in favore della paziente a titolo risarcitorio, con la conseguente condanna dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento a restituire alla Generali Assicurazioni S.p.A. quanto da quest’ultima corrisposto in adempimento della non dovuta prestazione indennitaria.

Assicurazione di secondo rischio e mancato superamento del massimale

I Giudici di secondo grado hanno rilevato come la garanzia prestata da Generali Assicurazioni S.p.A. in favore del medico fosse stata stipulata a secondo rischio, ossia condizionata al superamento del massimale di polizza assicurato dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento con la società Faro Assicurazioni per la responsabilità civile dei dipendenti.

Non essendo risultato il superamento del massimale garantito dalla polizza assicurativa stipulata dalla Faro Assicurazioni con l’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento, la domanda di manleva avanzata dalla dottoressa dipendente nei confronti della Generali Assicurazioni S.p.A., originariamente accolta dal Giudice di primo grado, è stata disattesa, con la conseguente condanna dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento a restituire alla Generali Assicurazioni S.p.A. quanto dalla stessa indebitamente prestato.

Ricorso in Cassazione e decisione della Suprema Corte

Il medico ricorre in Cassazione asserendo che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente omesso di riprodurre in dispositivo quanto, viceversa, stabilito in motivazione circa l’obbligo della Faro Compagnia di Assicurazioni e Riassicurazioni S.p.A. di tenere indenne anche lei da ogni somma dovuta in esecuzione della condanna pronunciata.

La Suprema Corte, nel respingere il ricorso, afferma che il Giudice d’Appello si è limitato a rilevare, unicamente in relazione alla posizione di Generali, l’impegno di quest’ultima a rivalere la dottoressa solo a seconda richiesta (cd assicurazione di secondo rischio ossia a condizione del superamento del massimale garantito dalla Faro), rilevando altresì la mancata dimostrazione dell’avvenuto superamento del massimale garantito dalla polizza che la Faro aveva concluso con l’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento.

Per tali ragioni il Giudice d’Appello ha condannato l’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento a restituire alla Generali quanto dalla stessa indebitamente percepito, non essendosi verificata la condizione alla quale era stata subordinata l’operatività della garanzia prestata da tale compagnia.

Motivi di inammissibilità del ricorso

Dalla lettura degli atti non risulta che la dottoressa abbia mai proposto, nel corso dell’intero giudizio in esame, alcuna domanda avente ad oggetto il riconoscimento dell’obbligo della Faro di tenerla indenne di quanto dalla stessa eventualmente dovuto, avendo, anzi, la dottoressa concluso in appello per il rigetto dell’impugnazione proposta senza per nulla contestare la sentenza di primo grado, che tale obbligo della Faro non aveva in alcun modo affermato.

Sul punto la Suprema Corte ribadisce che, qualora con il ricorso per Cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al Giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di puntuale e completa allegazione del ricorso stesso, indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dare modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione.

Non avendo la ricorrente provveduto ad alcuna allegazione, il ricorso viene ritenuto per ciò stesso inammissibile.

Avv. Emanuela Foligno

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