La Cassazione chiarisce, pronunciandosi su un caso di stalking in ambito condominiale, la delimitazione tra il delitto di atti persecutori e quello di molestie

Il reato di atti persecutori assorbe la contravvenzione di cui all’art. 660 c.p. (molestia o disturbo alle persone), “sempre che i singoli comportamenti molesti costituiscano segmenti di un’unitaria condotta, sorretta dal medesimo coefficiente psichico, consistente nella volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell’abitualità del proprio agire”. E’ il principio affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 17935/2020.

I Giudici Ermellini si sono pronunciati, nello specifico, sul ricorso proposto da due imputati, ritenuti responsabile in sede di merito per il delitto di atti persecutori. Nell’impugnare la sentenza di appello, i ricorrenti eccepivano, tra gli altri motivi, la violazione di legge in riferimento all’art. 612-bis c.p., non avendo la Corte territoriale disaminato la prospettazione di qualificazione dei fatti ex art. 660 c.p..

La Suprema Corte, tuttavia, ha ritenuto di non accogliere la doglianza.

La pronuncia di merito, infatti, aveva ampiamente argomentato in punto di sussistenza degli elementi costitutivi del reato di atti persecutori, ricostruendo una sistematica ed ininterrotta serie di condotte moleste in correlazione alla conseguenze prodotte sulle abitudini di vita delle persone offese, costrette ad una forzosa comunione condominiale tale da indurre uno stato d’ansia e di fondato timore di irriducibile e continua esposizione non solo ad immissioni sonore intollerabili, ma anche all’esternazione di atti minatori e violenti, tali da indurre un significativo mutamento delle abitudini di vita, del tutto ascrivibili alla fattispecie contestata.

Risultava, pertanto, ampiamente giustificata la qualificazione giuridica dei fatti in esame nell’alveo previsto dell’art. 612-bis c.p., che ha natura di reato abituale e di danno, ed è integrato dalla necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice e dal loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione dell’evento, che deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell’ennesimo atto persecutorio, sicché ciò che rileva è la identificabilità dei singoli atti quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell’evento.

Quanto alla prospettazione difensiva, che insisteva nel ricondurre i fatti alla violazione dell’art. 660 c.p., la Cassazione ha chiarito che “il delitto di atti persecutori assorbe il reato di molestie quando le medesime costituiscano segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione di uno almeno degli eventi previsti dall’art. 612-bis c.p., e siano avvinte dal medesimo elemento soggettivo, integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell’abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte – elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa – potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l’occasione”. La sentenza impugnata aveva chiarito la sussistenza di tali elementi, dando atto della incessante prosecuzione delle condotte moleste pur a seguito delle reiterate diffide delle persone offese. Da li il rigetto del ricorso.

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