In materia di atti persecutori, il provvedimento di ammonimento assolve ad una funzione tipicamente cautelare e preventiva, in quanto preordinato a impedire che gli atti persecutori siano più ripetuti e cagionino esiti irreparabili

Atti persecutori: l’ammonimento del Questore

In esecuzione dell’ordinanza del Questore di Bari, il ricorrente era stato ammonito, ai sensi dell’articolo 8 del decreto legge 23 febbraio 2009 n. 11, “… a tenere un comportamento conforme alla Legge, desistendo da atti persecutori o vessatori di qualsiasi genere, espressi anche sotto forma di mera molestia e capace di cagionare [alla vittima] un consequenziale e grave disagio psico-fisico”.

I contatti con tra i due erano iniziati nel maggio del 2015. La prima volta, l’uomo si era presentato verso l’orario di chiusura serale, come cliente, presso il centro estetico dove lavorava la vittima. Questi aveva, poi, cominciato a presentarsi presso il luogo di lavoro della donna con una media di due o tre volte alla settimana, riferendole della composizione di poesie a lei dedicate. La contattava frequentemente su Facebook, ove pubblicava foto che la ritraevano, senza il suo consenso, insistendo anche allorquando questa lo implorava di cessare con tale condotta ed, anzi, continuava aggiungendo espressioni offensive. In seguito, aveva cominciato a inviare richieste di amicizia su Facebook ai suoi amici e a frequentare i locali dalla stessa abitualmente frequentati; pubblicava foto del suo cane e indicava il quartiere ove la stessa passeggiava. Seguivano altri episodi di appostamenti e pedinamenti.

Nel 2016 la Questura comunicava al ricorrente l’avvio del procedimento che si concludeva con l’ammonimento. Il Questore di Bari aveva infatti ritenuto che l’attività persecutoria da quest’ultimo posta in essere, a più riprese, potesse effettivamente essere qualificata alla stregua della fattispecie penale degli atti persecutori, di cui all’art. 612 bis c.p.”.

La vicenda è giunta dinanzi al T.A.R. Bari (Puglia). A detta del ricorrente la donna aveva frainteso il suo comportamento e pertanto, il provvedimento impugnato doveva essere annullato in quanto illegittimo.

Come è noto, il  decreto legge n. 11 del 2009, convertito dalla legge n. 38/2009, ha inserito nel codice penale l’art. 612-bis, rubricato “Atti persecutori”, che punisce con pena detentiva la condotta di chi “con condotte reiterate minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”. Si tratta di un delitto punibile a querela della persona offesa, salvo i casi previsti dalla legge.

In relazione a tale fattispecie di reato lo stesso decreto legge n. 11/2009 ha poi previsto il potere di ammonimento del Questore. L’istituto dell’ammonimento è una misura di prevenzione con finalità dissuasive, finalizzata a scoraggiare ogni forma di persecuzione; la giurisprudenza ha in più occasioni precisato che il provvedimento di ammonimento assolve ad una funzione tipicamente cautelare e preventiva, in quanto preordinato a impedire che gli atti persecutori siano più ripetuti e cagionino esiti irreparabili (Consiglio di Stato, Sez. III, 25 maggio 2015, n. 2599).

Al riguardo è stato chiarito che – proprio in ragione del fatto che il procedimento amministrativo di cui all’art. 8 del decreto legge n. 11/2009 si muove su un diverso piano (cautelare e preventivo) da quello del procedimento penale per il reato di cui all’art. 612-bis c.p. – il provvedimento conclusivo (decreto di ammonimento) presuppone non l’acquisizione di prove tali da poter resistere in un giudizio penale avente ad oggetto un’imputazione per il reato di stalking, bensì la sussistenza di elementi dai quali sia possibile desumere un comportamento persecutorio o gravemente minaccioso che, nel contesto di relazioni intersoggettive, possa degenerare e preludere a condotte costituenti reato. Pertanto, ai fini dell’ammonimento, non occorre che si sia raggiunta la prova della commissione del reato, bensì è sufficiente il riferimento ad elementi dai quali sia possibile desumere, con un sufficiente grado di attendibilità, un comportamento persecutorio che ha ingenerato nella vittima un perdurante e grave stato di ansia e di paura.

L’ammonimento del Questore

L’articolato normativo evidenzia, dunque, l’intento del legislatore di approntare un sistema integrato di misure per prevenire o interrompere sul nascere, prima ancora che punire, condotte che per la loro semplice attitudine o idoneità astratta possano creare il pericolo di verificazione di eventi molesti o lesivi della libertà di autodeterminazione di soggetti in posizione, se non altro psicologica, di minorata difesa.

La giurisprudenza amministrativa ha ancor meglio precisato che la diversità delle conseguenze dell’ammonimento amministrativo e del procedimento penale giustifica anche la differente intensità dell’attività investigativa richiesta nelle due ipotesi, “non essendo affatto necessario per addivenire al primo che si sia raggiunta la prova del reato, bensì sufficiente che si sia fatto riferimento ad elementi dai quali sia possibile desumere, con un sufficiente grado di attendibilità, un comportamento persecutorio che ha ingenerato nella vittima un perdurante e grave stato di ansia e di paura, senza che se ne renda necessaria la certificazione da parte di un medico […] (Consiglio di Stato, sentenza n. 5259 del 2018).

La discrezionalità amministrativa

Se è vero, dunque, che i provvedimenti di ammonimento sono espressione di un potere valutativo ampiamente discrezionale del quadro indiziario – conseguentemente, non è necessario che sia raggiunta la prova di un reato, dimostrandosi sufficiente l’emersione di un comportamento persecutorio obiettivamente in grado di ingenerare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia e di paura.

In tal senso, è rimesso al questore il discrezionale apprezzamento in ordine alla fondatezza dell’istanza, al fine di conseguire una ragionevole certezza sulla plausibilità e sulla verosimiglianza (…) tanto in relazione alla esecuzione di condotte reiterate, di minaccia o di molestia, quanto in relazione alla derivazione da esse di un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero di un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona al medesimo legata da relazione affettiva, ovvero all’alterazione effettiva delle abitudini di vita della vittima (T.A.R. Lombardia, Sez. I, 30 luglio 2019, n. 1781 e Sez. III, 28 giugno 2010, n. 2639).

La decisione

Ebbene, nel caso in esame, secondo il Tribunale amministrativo della Regione Puglia (T.A.R. Puglia, Sezione Seconda, sentenza n. 439/2020), l’istruttoria condotta dall’Amministrazione aveva rivelato una sufficiente correlazione logica fra l’oggettiva gravità dei comportamenti posti in essere dal ricorrente e l’idoneità degli stessi ad ingenerare nel soggetto passivo quello stato di “ansia e/o timore per la propria incolumità” che costituisce essenziale, quanto indefettibile, presupposto per l’adozione della misura monitoria.

In particolare, la Questura aveva verificato la plausibilità e verosimiglianza delle vicende esposte dalla vittima escutendo ben tre testi e riscontrando l’effettiva creazione di tre profili Facebook fasulli. Per queste ragioni, il ricorso è stato respinto perché infondato e confermato il provvedimento di ammonimento.

Avv. Sabrina Caporale

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