Respinto il ricorso di un padre che chiedeva di respingere l’istanza di attribuzione del patronimico avanzata dalla madre del ragazzo

“In tema di minori, è legittima, in ipotesi di secondo riconoscimento da parte del padre, l’attribuzione del patronimico, in aggiunta al cognome della madre, purché non gli arrechi pregiudizio in ragione della cattiva reputazione del padre e purché non ne sia lesivo dell’identità personale, ove questa si sia definitivamente consolidata con l’uso del solo matronimico nella trama dei rapporti personali e sociali”. E’ il principio a cui si è allineata la Corte di Cassazione nella ordinanza n. 772/2020.

I Giudici e Ermellini si sono pronunciati sul ricorso presentato dal padre di un ragazzo contro la decisione dei giudici del merito di disporre, su istanza della madre, che il figlio di quest’ultima assumesse, in aggiunta al suo, anche il cognome del padre naturale.

Nel ricorrere per cassazione l’uomo contestava l’affermazione del giudice di appello secondo cui l’aggiunta del patronimico non avrebbe leso l’interesse del minore, che non versava ancora nella fase adolescenziale. A suo giudizio, la Corte territoriale non aveva valutato in modo adeguato l’interesse del minore; in particolare non aveva tenuto conto del fatto che il figlio avesse già acquisito, nella trama dei rapporti sociali, una definitiva e formale identità attraverso il cognome materno, tale da sconsigliare l’uso del cognome del padre.

Secondo l’impugnante, poi, in secondo grado non si sarebbe tenuto debitamente conto della totale inesistenza di rapporti tra padre e figlio, nonché della sua assoluta inidoneità all’esercizio della responsabilità genitoriale; una circostanza, quest’ultima, confermata dal fatto che fosse stato disposto l’affido esclusivo del minore alla madre.

La Suprema Corte, tuttavia, ha ritenuto di non aderire alle argomentazioni proposte, rigettando il ricorso in quanto inammissibile.

I Giudici del Palazzaccio, conformandosi alla giurisprudenza di legittimità, hanno  ribadito che i criteri di individuazione del cognome del minore, nato fuori del matrimonio e riconosciuto in maniera non contestuale dai genitori, “si pongono in funzione del suo interesse, che è quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale, avente copertura costituzionale assoluta”.

In tale ottica “la scelta, anche officiosa, del giudice è ampiamente discrezionale e deve avere riguardo al modo più conveniente di individuare il minore in relazione all’ambiente in cui è cresciuto fino al momento del successivo riconoscimento, non potendo essere condizionata dall’esigenza di equiparare il risultato a quello derivante dalle diverse regole, non richiamate dall’art. 262 c.c., che presiedono all’attribuzione del cognome al figlio nato nel matrimonio”.

“Il giudice – affermano ancora gli Ermellini – è investito dall’art. 262 commi 2 e 3, c.c. del potere-dovere di decidere su ognuna delle possibilità previste da detta disposizione avendo riguardo, quale criterio di riferimento, unicamente all’interesse del minore e con esclusione di qualsiasi automaticità, che non riguarda né la prima attribuzione, essendo inconfigurabile una regola di prevalenza del criterio del prior in tempore, né il patronimico, per il quale non sussiste alcun favor in sé nel nostro ordinamento”.

Nel caso in esame, la Corte territoriale aveva disposto in modo del tutto legittimo l’attribuzione al minore del cognome paterno, in aggiunta a quello materno, avendo preliminarmente individuato il relativo concreto interesse del minore, ed avendo, altresì, evidenziato l’auspicabile evoluzione positiva del rapporto con il genitore, anche per effetto dell’assunzione dell’ulteriore cognome, oltre all’interesse del fanciullo a stabilire un legame con gli altri figli del padre e ad affermare e palesare la propria appartenenza alla famiglia paterna.

La redazione giuridica

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