La Cassazione si è espressa riguardo ai casi in cui un apparecchio dell’ autovelox poco visibile possa configurare l’illegittimità della sanzione

In quali circostanze un autovelox poco visibile può rendere illegittima la sanzione per eccesso di velocità?
In merito la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ha fornito delle interessanti precisazioni con l’ordinanza n. 25392/2017.

Secondo i giudici, infatti, in caso di autovelox poco visibile posto al termine di un filare di alberi, è possibile confermare l’illegittimità della sanzione.

Questo in quanto il dispositivo di rilevamento non è sufficientemente visibile dalla carreggiata.
Nel caso di specie esaminato dalla Corte, questa ha respinto il ricorso di un Comune contro la decisione del Tribunale che, accogliendo l’appello del conducente, aveva dichiarato illegittima la sanzione amministrativa comminatagli.
All’automobilista era stato contestato di aver percorso con la sua autovettura una strada statale alla velocità di 83 km/h. In questo caso, dunque, c’era stata la violazione del limite massimo consentito, pari a 50 km/h.

L’automobilista, però, ha affermato che l’ autovelox poco visibile era stato la causa del tutto, in aggiunta al fatto che il dispositivo di controllo elettronico della velocità non era preceduto in modo congruo da segnaletica specifica.

Secondo il giudice a quo, la descrizione dello stato dei luoghi in cui era stato collocato l’ autovelox poco visibile, rendeva palese la violazione del combinato disposto degli artt. 142 C.d.s. e 79 del regolamento di esecuzione dello stesso codice.
In Cassazione, il Comune ha dedotto una motivazione “solo apparente” dell’impugnato dictum, “essendo priva di qualsiasi riferimento fattuale oggettivo allo stato dei luoghi”.
Inoltre aveva segnalato che questa fosse priva del riscontro di elementi escludenti. Nel caso concreto, una minore visibilità del dispositivo.
Sempre secondo il Comune, il riscontro della distanza metrica necessaria a percepire la presenza di un autovelox, “è una valutazione palesemente soggettiva (…) per cui non può (…) valere come una confessione giudiziale”.
Non solo.
Va ricordato che la norma fissa una distanza minima per il segnale che informi della presenza dell’autovelox. Ciononostante, l’avvistamento del dispositivo, regolarmente presegnalato, deve essere “ben visibile”. E questo in rapporto allo stato dei luoghi e alla “velocità locale predominante”.

Di diverso avviso la Cassazione, per la quale invece il Tribunale aveva correttamente applicato la normativa in materia.

In particolare, i giudici fanno riferimento al parametro di cui al 6° co. bis dell’art. 142 c.d.s., alla cui stregua “le postazioni di controllo (…) per il rilevamento della velocità devono essere (…) ben visibili”, provvedendo così a una valutazione in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica.
Secondo i giudici, inoltre, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per Cassazione.
Ciò in virtù del fatto che non è inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., né in quello del precedente n. 4,. Quest’ultima disposizione, infatti, dà rilievo solo all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante.
Il ricorso dell’automobilista, tuttavia, è stato accolto in minima parte per erronea regolamentazione delle spese.
Pertanto, la Corte ha espunto dall’impugnata sentenza del Tribunale la condanna del Comune al pagamento del rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 12,5%.
 
 
 
 
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