Caduta dalla moto a causa di un cane randagio (Cassazione civile, sez. III, 14/11/2022 n.33470).

Caduta dalla moto a causa di un cane randagio e chiamata in causa dell’ASL.

Veniva citata dinanzi al tribunale di Lecce l’Azienda Sanitaria Locale per la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del sinistro verificatosi nel centro abitato, allorché la donna, mentre era alla guida del ciclomotore di proprietà del padre, ne aveva perduto il controllo a causa di un cane randagio e riportava lesioni personali a causa, appunto, della caduta dalla moto.

La ASL indicava nel Comune il soggetto responsabile e lo chiamava in causa. Tuttavia, il Tribunale condannava il Comune e l’Azienda Sanitaria Locale, in solido tra loro, a pagare all’attrice la somma di Euro 11.978,11.

La Corte di Appello di Lecce confermava integralmente la decisione di primo grado rilevando:

– che la L.R. Puglia 3 aprile 1995, n. 12, nella cornice della legge quadro statale 14 agosto 1991, n. 281, individuando uno specifico obbligo di intervento a carico della A.S.L. per il recupero dei cani vaganti, renderebbe bensì configurabile una sua responsabilità ex art. 2043 c.c., per i danni derivanti dal randagismo, senza però escludere quella concorrente del Comune (titolare, in base alla stessa legge, di compiti di natura logistico-organizzativa e di gestione in tema di canili), atteso che cattura e custodia degli animali randagi, pur integrando operazioni distinte assegnate a soggetti diversi, costituirebbero un’attività sostanzialmente unitaria rispetto allo scopo della normativa regionale, diretta a “prevenire i pericoli specifici per l’incolumità della popolazione connessi al randagismo”.

In buona sostanza, secondo i Giudici di Appello, la ASL sarebbe responsabile in quanto ente localmente deputato al controllo del fenomeno del randagismo; il Comune, per non avere segnalato la presenza dei cani vaganti nel proprio centro abitato. La Corte, inoltre, sottolinea la correttezza del quantum liquidato sulla scorta delle tabelle milanesi.

Il Comune propone ricorso per Cassazione lamentando violazione e falsa applicazione della L.R. Puglia 3 aprile 1995, n. 12, artt. 2,6 e 8. Il ricorrente osserva che la legge regionale attribuisce al Comune le funzioni di vigilanza sul trattamento degli animali, la tutela igienico-sanitaria degli stessi e i controlli connessi alla sua attuazione (art. 2), nonché la costruzione e la gestione dei canili per l’accoglienza dei cani vaganti e randagi, una volta recuperati (art. 8); il compito di provvedere al recupero di questi cani sul territorio e’, invece, affidato dalla medesima legge alle Aziende Sanitarie Locali (art. 6).

La censura è fondata.

La responsabilità per i danni causati dagli animali randagi, pur essendo disciplinata dalla regola generale di cui all’art. 2043 c.c., (e non già da quella speciale di cui all’art. 2052 c.c.), trova fondamento, prima ancora che nell’accertamento della colpa dell’ente preposto, in quello, preliminare, dell’esistenza in capo ad esso di un obbligo giuridico avente ad oggetto lo svolgimento di un’attività vincolata in base alla legge (la cattura dell’animale randagio).

L’accertamento della responsabilità per i danni derivanti dal randagismo presuppone, dunque, l’individuazione dell’ente cui le leggi nazionali e regionali affidano in generale il compito di controllo e gestione di questo fenomeno. Alla pubblica amministrazione viene infatti imputata una responsabilità di tipo omissivo, per violazione di uno specifico obbligo giuridico, nella cui esistenza trova fondamento il carattere antigiuridico della condotta omissiva dell’ente, nel senso che l’efficienza causale dell’omissione rispetto all’evento dannoso diventa giuridicamente rilevante ai fini dell’imputazione della lesione in presenza dell’obbligo giuridico di impedire l’evento, in conformità al disposto dell’art. 40 c.p., comma 2, (così, in particolare, Cass. n. 17060 del 2018, cit.).

Ciò ribadito, nello specifico ambito dell’ordinamento regionale pugliese la legittimazione ad essere convenute con l’azione risarcitoria per i predetti pregiudizi spetta alle Aziende Sanitarie Locali, cui i ricordati compiti sono affidati dalla L.R. n. 12 del 1995, e non anche ai Comuni, cui la medesima legge attribuisce i diversi compiti di accoglienza, custodia e mantenimento degli animali dopo che sono stati catturati.

Ne discende il rilievo del difetto di legittimazione passiva del Comune con accoglimento del primo motivo del ricorso principale ed assorbimento degli altri.

L’accertamento del difetto di legittimazione passiva del convenuto Comune comporta, a norma dell’art. 382 c.p.c., u.c., la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata perché l’azione risarcitoria nei suoi confronti non poteva essere esercitata.

Conseguentemente, il ricorso incidentale proposto dalla ASL viene integralmente rigettato in quanto inammissibile e infondato.

Avv. Emanuela Foligno

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