Caduta dall’albero del lavoratore durante la raccolta della frutta (Corte Appello Perugia, 20/07/2022, n.218).

Caduta dall’albero del lavoratore che precipita da un’altezza superiore a due metri.

Il lavoratore citava dinanzi il Tribunale di Spoleto il datore di lavoro esponendo di aver subito un infortunio mentre coglieva la frutta nel giardino annesso all’abitazione.

In particolare, il danneggiato appoggiava a un ramo dell’albero di prugne la scala, fornitagli dalla datrice di lavoro, ma il ramo non reggeva il peso e si era spezzato, facendolo precipitare a terra, da un’altezza superiore a due metri.

In conseguenza della caduta dall’albero l’uomo riportava lesioni gravissime, con postumi permanenti del 40%.

L’infortunio, secondo la tesi attorea, si era verificato per l’omessa predisposizione, da parte della datrice di lavoro, delle misure di prevenzione imposte per la tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore subordinato dall’art. 2087 c.c. e dal D.Lgs. n. 81 del 2008.

Il Tribunale respingeva il ricorso e condannava il danneggiato alla rifusione delle spese di lite.

La decisione viene appellata.

Il Tribunale di Spoleto , in sostanza, ha respinto la domanda ritenendo, da un lato, non dimostrata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il danneggiato e la datrice di lavoro, dall’altro, insussistente la responsabilità della convenuta ex art. 2051 c.c., esclusa dalla negligenza dello stesso danneggiato per avere utilizzato la scala per raccogliere la frutta, di per sé integrante gli estremi del caso fortuito.

L’appellante censura la decisione, poiché, a suo avviso, le dichiarazioni rese dai testimoni consentivano di ritenere dimostrato il rapporto di lavoro subordinato, con la conseguente applicabilità dell’art. 2087 c.c. e delle norme di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, diretti alla tutela dell’integrità plico-fisica del lavoratore, palesemente violati.

Deduce che le norme invocate sarebbero comunque applicabili, anche qualora fosse ritenuta la natura autonoma del rapporto di lavoro instauratosi fra le parti, sotto la specie della prestazione d’opera.

Ritiene, infine, inattendibile la testimonianza della figlia della resistente, e inapplicabile l’art. 2051 c.c..

La Corte, preliminarmente dà atto della dinamica dell’infortunio che provocava la caduta dall’albero della frutta e le conseguenti lesioni.

Mentre il danneggiato era intento a raccogliere la frutta, cambiava posizione della scala appoggiandola a un ramo secondario dell’albero, che non reggeva il suo peso e si spezzava.

L’uomo, così, veniva sbalzato dalla scala oltre un muretto, e precipitava a terra sulla rampa sottostante, che conduceva al garage. La scala non era difettosa e non si ruppe.

La caduta dall’albero provocava all’uomo: “frattura complessa dell’emibacino sn con sfondamento dell’acetabolo sinistro e frattura delle branche ileo ed ischio-pubica di sinistra, discreto ematoma venoso extraperitoneale”, cui seguiva intervento chirurgico e riabilitazione.

Il danneggiato sostiene che l’accordo con la datrice di lavoro per l’attività di raccolta della frutta contemplava un orario giornaliero dalle 8 alle 17, e un compenso di Euro 50,00 a giornata, per il tempo necessario a completare la raccolta della frutta.

Queste circostanze, tuttavia, non hanno trovato alcun riscontro probatorio.

In linea generale, la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio secondo cui, al fine di accertare la natura subordinata o autonoma di un rapporto di lavoro, il Giudice deve in primo luogo aver riguardo alla volontà manifestata dalle parti. Di conseguenza, se queste hanno espressamente dichiarato di voler escludere la subordinazione o hanno qualificato la collaborazione con il nomea iuris di un istituto di per sé incompatibile con essa (per esempio, contratto d’opera ai sensi dell’art. 2222 c.c., appalto, associazione in partecipazione, collaborazione coordinata e continuativa, collaborazione a progetto, contratto d’agenzia, etc.), sarà possibile pervenire a una diversa qualificazione giuridica solo qualora sia dimostrato che la subordinazione si è realizzata, di fatto, nella fase dell’esecuzione (v., ex multis, Cass., Sez. Lav., 7 novembre 2001, n. 13778; 6 marzo 1996, n. 2690; 4 agosto 1995, n. 8565).

Ebbene, nel caso di specie, non risulta dimostrato che il ricorrente fosse soggetto al potere gerarchico della convenuta, e neppure risultano provati i cosiddetti indici sintomatici della subordinazione, come la retribuzione e l’obbligo di rispettare un orario.

Nessuno dei testimoni ha confermato che fosse stato pattuito un compenso giornaliero in denaro, né che il ricorrente fosse tenuto a osservare un determinato orario di lavoro.

Pertanto, è da ritenersi plausibile che l’uomo fosse libero di decidere quando recarsi presso il giardino della convenuta e per quanto tempo rimanervi, e che il suo compenso fosse rappresentato da una parte del raccolto, che egli avrebbe trattenuto come corrispettivo della sua attività.

Di talchè, il danneggiato non era un dipendente della convenuta al momento dell’infortunio, non può dirsi configurabile a carico di quest’ultima una responsabilità per l’inosservanza dell’art. 2087 c.c..

Viene dunque escluso che la responsabilità della convenuta possa essere fondata sulle previsioni del D.Lgs. n. 81 del 2008.

Per quanto concerne la responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., il primo Giudice ha ritenuto ravvisabile il caso fortuito, rappresentato dall’imprudenza commessa dallo stesso danneggiato nell’appoggiare la scala su un ramo non abbastanza robusto per reggere il suo peso.

Tale decisione è corretta.

La giurisprudenza di legittimità concernente l’art. 2051 c.c., è giunta a ricomprendere la colpa del danneggiato nel concetto di caso fortuito.

Era ragionevole pretendere dal danneggiato, operaio edile avvezzo anche a lavori in quota, l’uso della normale prudenza nell’appoggiare la scala all’albero, in maniera tale da evitare di gravare con il suo peso e con quello della scala stessa su un ramo secondario di un albero.

L’appello viene respinto.

Avv. Emanuela Foligno

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