Per i Giudici la causa della caduta sui gradini del marciapiede era da ricondurre al caso fortuito consistente nel comportamento imprudente della danneggiata

Con l’ordinanza n. 16146/2021 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso di una donna che si era vista respingere, in sede di merito, la richiesta di risarcimento avanzata al Comune, ai sensi dell’art. 2051 del codice civile, per i danni subiti a causa di una caduta sui gradini del marciapiede.

Nello specifico, nel rivolgersi ai Giudici Ermellini, la ricorrente contestava alla Corte di appello di aver fondato la propria decisione su di una valutazione errata ed incompleta dei fatti di causa; nella specie, infatti, non si trattava di una buca stradale, ma di un’ingannevole alterazione del terreno di cui la vittima si era potuta accorgere solo nel momento in cui aveva perso l’equilibrio. Inoltre, sottolineava come l’art. 2051 c.c.. individui una forma di responsabilità oggettiva che può essere esclusa solo dalla dimostrazione del caso fortuito; nel caso di specie, sarebbe stata dimostrata l’esistenza dell’anomalia stradale, mentre il Comune non avrebbe provato l’esistenza del fortuito, poiché il comportamento della ricorrente non era caratterizzato da eccezionalità, imprevedibilità ed evitabilità.

La Suprema Corte, tuttavia, ha ritenuto le doglianze proposte prive di fondamento.

Dal Palazzaccio hanno in primo luogo ricordato che in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione. Ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.

Nel caso in esame la Corte di merito aveva fatto buon governo di tale principio. La sentenza impugnata, infatti, con un accertamento congruamente motivato e privo di vizi logici e di contraddizioni, non suscettibile di ulteriore modifica in sede di legittimità, aveva affermato che la causa del sinistro era da ricondurre, nella specie, al caso fortuito consistente nel comportamento imprudente della danneggiata, idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra la cosa e l’evento dannoso. La presenza dell’avvallamento pericoloso, infatti, era ben visibile in considerazione sia dell’ora diurna in cui la caduta era avvenuta, sia delle caratteristiche intrinseche dello stesso. Dalle foto prodotte e dalla deposizione testimoniale del vigile urbano escusso risultava, infatti, che, nonostante la presenza dei sampietrini, l’avvallamento era distinguibile senza problemi, avendo una profondità di circa 10 cm distribuita su di un piano di calpestio pari a circa cm 50 per cm 150; per cui anche dall’alto della scalinata la caduta sarebbe stata evitabile ove la danneggiata non avesse tenuto un comportamento imprudente.

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