Caduta sulle scale del centro benessere provoca lesioni alla cliente che si rivolge al Tribunale per ottenere il risarcimento dei relativi danni (Cassazione Civile, sez. VI, 02/12/2021, n.38029).
Caduta sulle scale giudicata in secondo grado dalla Corte d’Appello di Trento, conferma la decisione con la quale il primo Giudice ha rigettato la domanda proposta dalla danneggiata nei confronti del Centro Benessere, per la condanna al risarcimento dei danni.
In particolare, la donna lamenta una caduta sulle scale conducenti alle piscine e all’area benessere della struttura ricettiva convenuta.
Il Giudice d’Appello rilevava la correttezza della decisione del primo grado nella parte in cui veniva evidenziata la mancata acquisizione di prova certa in ordine alle concrete modalità di verificazione del fatto dannoso dedotto in giudizio, con particolare riferimento al nesso di causalità tra la caduta sulle scale e i danni fisici lamentati dall’attrice.
La decisione viene impugnata in Cassazione per omessa ovvero contraddittorietà ed illogicità della motivazione, violazione ed errata applicazione delle norme di diritto, per avere la corte territoriale erroneamente interpretato il complesso degli elementi istruttori acquisiti nel corso del giudizio, con particolare riguardo alla piena attestazione della verificazione del fatto dannoso così come descritto dall’attrice, ovvero la caduta sulle scale del centro benessere, e alla sussistenza del nesso di causalità tra la caduta e i danni alla persona.
La censura è inammissibile.
Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza, il ricorrente che agendo in sede di legittimità denunci la violazione della legge processuale riscontrabile nell’avere il giudice a quo ritenuto, in modo pretesamente erroneo, che fossero state contestate circostanze viceversa asseritamente non poste a oggetto di alcuna puntuale confutazione, non può limitarsi a specificare soltanto la singola norma processuale di cui, appunto, si denunzia la violazione, ma deve indicare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività di detta violazione.
Ciò posto, la ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge (peraltro, solo genericamente) invocate – si è limitata ad allegare un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa.
Ebbene, tale operazione non riguarda l’esatta interpretazione della norma di legge, bensì la valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione.
Le censure sollevate dalla ricorrente riguardano la negata congruità dell’interpretazione fornita dalla Corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, e dei fatti di causa ritenuti rilevanti.
Ergo, il motivo d’impugnazione così formulato viene ritenuto inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il Giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti.
Il ricorso viene dichiarato inammissibile.
La redazione giuridica
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