Addetto al trasporto e al carico scarico di pacchi della corrispondenza, è stato risarcito dalla società datrice di lavoro per il danno conseguente alle condizioni di lavoro

Nel 2014, la Corte di appello di Torino aveva respinto il gravame proposto da Poste Italiane contro la sentenza del Tribunale della stessa città che, in accoglimento del ricorso proposto da un suo dipendente, l’aveva condannata al pagamento, in favore del primo, della somma di 2.500 euro circa a titolo indennizzo per l’invalidità temporanea, sofferta in relazione alle conseguenze delle condizioni lavorative, cui era stato sottoposto. Il lavoratore svolgeva la mansione di furgonista e addetto al carico scarico della corrispondenza.

La vicenda

Ebbene, già in primo grado era emerso che le operazioni di carico e scarico cui era addetto, erano svolte con l’ausilio di carretti a traino o a spinta, ma che negli uffici di destinazione non vi erano carrelli; che il peso dei plichi variava, ma che di fatto non era osservata la direttiva del peso massimo di 30 Kg. e che, anzi, tale limite era spesso superato; ed infine, che per ogni turno le uscite erano molteplici presso i vari uffici postali.
Tutto ciò aveva portato il Tribunale adito a ritenere che la società convenuta avesse violato i suoi obblighi in materia di tutela delle condizioni di lavoro di cui alla clausola generale dell’art. 2087 c.c.
La vicenda finiva, perciò, in Cassazione con ricorso presentato dalla società Poste italiane.
Ebbene, anche questa volta la decisione impugnata è stata confermata.

La decisione della Cassazione

Ed invero, i giudici Ermellini hanno reputato che il giudizio espresso dalla Corte territoriale fosse incensurabile sotto ogni aspetto.
Poste italiane aveva omesso di ottemperare agli obblighi concernenti la sottoposizione del dipendente a visite di controllo sanitario o comunque all’osservanza della normativa in tema di idoneità alle mansioni svolte, posto che la sua organizzazione lavorativa aveva comportato per il proprio dipendente, per un arco di tempo di oltre 12 anni, il continuo ricorso al sollevamento manuale di carichi, costituiti dai pacchi postali ed al trasporto manuale dei carrelli con cui i pacchi erano movimentati.
Al riguardo era stato correttamente osservato che, al di là del peso di ciascun carico, nel rispetto o meno della normativa, il lavoratore era stato esposto a sforzi fisici, troppo frequenti e prolungati, che ne avevano sollecitato, in particolare, la colonna vertebrale.
La Corte di appello aveva, poi, rilevato che i disturbi fisici dell’uomo erano temporalmente compatibili con tale ricostruzione e che non vi erano errori diagnostici o contraddizioni nello sviluppo dell’esame della sua situazione personale, peraltro, confermati dal Ctu e non contestate in giudizio.

La personalizzazione del danno

Anche sotto il profilo della personalizzazione del danno, la sentenza impugnata risultava immune da vizi ed anzi era conforme ai principi esistenti in giurisprudenza, secondo cui “In tema di liquidazione del danno non patrimoniale per la ridotta o soppressa funzionalità di un arto in seguito ad una ingiusta lesione subita, la parte che chieda il risarcimento per pregiudizi ulteriori rispetto a quelli già forfettariamente compensati con la liquidazione attraverso i meccanismi tabellari, deve allegare altri pregiudizi di tipo esistenziale, individuando specifiche circostanze che incidano su aspetti “eccezionali” e non semplicemente quotidiani della vita, tali, per caratteristiche, dimensione od intensità ed in relazione alle proprie particolari condizioni di vita, da porli al di fuori delle conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età”.
E, nella specie, il lavoratore aveva ritualmente allegato tutti gli elementi a riprova del disagio patito in relazione ad attività sportive normalmente praticate e i giudici di merito avevano correttamente applicato le tabelle “milanesi” di liquidazione dei danni.
Con riferimento, poi, al danno biologico, la sentenza impugnata era conforme al seguente principio di diritto:”In tema di responsabilità del datore di lavoro per il danno da inadempimento l’indennizzo erogato dall’INAIL ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n. 38 del 2000 non copre il danno biologico da inabilità temporanea, atteso che sulla base di tale norma, in combinato disposto con l’art. 66, comma 1, n. 2, del D.P.R. n. 1124 del 1965, il danno biologico risarcibile è solo quello relativo all’inabilità permanente” (cfr. Cass. 2.3.2018 n. 4972).
Insomma, niente da fare per la società Poste italiane, condannata in via definitiva a risarcire il danno al proprio dipendente.

La redazione giuridica

 
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