In caso di tesi contrapposte dei Consulenti sulla causalità materiale, il Giudice deve disporre ulteriore perizia eventualmente collegiale (Cass. Pen., sez. IV, sentenza n. 3932/2021 del 2 febbraio 2021)
“Qualora sussistano, in relazione a pluralità di indagini svolte da periti e consulenti, tesi contrapposte sulla causalità materiale dell’evento, il giudice, previa valutazione dell’affidabilità metodologica e dell’integrità delle intenzioni degli esperti, che dovranno delineare gli scenari degli studi e fornire adeguati elementi di giudizio, deve accertare, all’esito di un’esaustiva indagine delle singole ipotesi formulate dagli esperti, la sussistenza di una soluzione sufficientemente affidabile, costituita da una metateoria frutto di una ponderata valutazione delle differenti rappresentazioni scientifiche del problema, in grado di fornire concrete, significative ed attendibili informazioni idonee a sorreggere l’argomentazione probatoria inerente allo specifico caso esaminato. Altrimenti potendo concludere per l’impossibilità di addivenire ad una conclusione in termini di certezza processuale. Laddove, però, il confronto tra i tecnici, come avvenuto nel caso di specie, non consenta di addivenire a conclusioni tecnico-scientifiche tra loro compatibili, ci si trova dinanzi ad uno scenario che è di tutta evidenza superabile solo attraverso una perizia, eventualmente collegiale, da disporsi in dibattimento”.
In tali termini si è espressa la Suprema Corte nella decisione qui a commento.
La Corte d’Appello di Roma confermava la sentenza di primo grado che aveva condannato l’imputata, Medico di guardia presso il Pronto Soccorso, per il reato di cui all’art. 589 c.p., poiché, per colpa consistita in imprudenza, negligenza e imperizia, dopo avere preso in carico un paziente lo dimetteva – con diagnosi di polmonite e prescrizione di rivolgersi nuovamente ai presidi sanitari qualora i sintomi si fossero aggravati – omettendo di effettuare alcuni accertamenti e così causandone, tre giorni dopo le dimissioni, il decesso per infarto miocardico acuto.
Il paziente, presso il Pronto Soccorso, veniva prima preso in carico da un diverso Medico, che accertava la presenza di dolore toracico variabile con il respiro e prescriveva l’esecuzione di un elettrocardiogramma, di una lastra al torace e del prelievo venoso per il dosaggio dei parametri generali e gli enzimi di miocardionecrosi.
Nel corso del passaggio di consegne alla fine del turno, l’imputata avrebbe omesso di valutare correttamente l’alterazione emersa dall’elettrocardiogramma, di ripetere l’elettrocardiogramma e le analisi enzimatiche, e di trattenere il paziente in osservazione, così cagionandone colposamente il decesso.
Secondo il Consulente del P.M., dall’esame autoptico emergeva che l’infarto miocardico fosse già in corso al momento dell’accesso al Pronto Soccorso.
Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione l’imputata e le parti civili.
L’imputata lamenta il travisamento del nesso di causalità e deduce che il Giudice di merito recepiva in maniera acritica le conclusioni raggiunte dal consulente del PM, collocando l’insorgenza dell’infarto in un momento antecedente alle dimissioni, ed omettendo di valutare i rilievi del Consulente della difesa inerenti l’assenza di riscontro, in sede autoptica, di macrofagi che compaiono entro 72 ore dall’infarto, l’esistenza di un ulteriore episodio di dolore al petto, e la presenza di un’alterazione dell’elettrocardiogramma incompatibile con la patologia che ha causato il decesso, che collocherebbero l’insorgenza dell’infarto in un momento successivo alle dimissioni del paziente, facendo così venire meno il nesso causale.
Deduce, inoltre, travisamento della prova e del fatto, in quanto la sentenza di merito riteneva che il dolore al petto non fosse variabile con il respiro, ricollegando tale dolore all’insorgenza dell’infarto in momento antecedente alle dimissioni e – di conseguenza – non giustificabile la diagnosi di polmonite. La variabilità del dolore in base alla respirazione risultava invece sia dalla cartella clinica di Pronto Soccorso, sia dalla testimonianza del primo Medico che aveva preso in carico il paziente.
Le parti civili, invece, si dolgono del mancato esame del motivo di appello riguardante l’erroneità della valutazione, da parte del Giudice di primo grado, dell’esistenza di un concorso di colpa della vittima ed in ogni caso di non averne stabilito l’eventuale percentuale.
Gli Ermellini effettuano una precisa analisi della giurisprudenza di legittimità in materia e ricordano l’orientamento ormai consolidato secondo cui il principio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio non costituisce solo una regola di giudizio, ma anche una regola che ha rilevanza sul piano della formazione della prova e che impone che sia acquisito materiale probatorio non solo di fonte unilaterale ma anche di provenienza super partes, in modo tale da realizzare una dialettica processuale che permetta al giudice di orientare in modo adeguato le proprie determinazioni.
Inoltre, in tema di affermazione della colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio fondata su prove scientifiche, la condanna si deve fondare su un sapere scientifico largamente accreditato dagli studiosi.
Viene richiamata la nota decisione del 2010 (Sez. IV Pen., n. 43786/2010), e altre allineate successive, in cui è stata affermata l’indispensabilità del sapere scientifico per il Giudice di merito, il quale è uno strumento che consente di giungere all’accertamento del fatto.
Seguendo tale scia, il controllo effettuato in sede di legittimità non può riguardare l’affidabilità o meno di una certa ipotesi scientifica, bensì la valutazione effettuata dal Giudice di merito sull’affidabilità delle informazioni scientifiche utilizzate per fornire la spiegazione dei fatti.
I Supremi Giudici passano al vaglio anche la giurisprudenza inerente la responsabilità per colpa medica secondo cui, in presenza di tesi contrapposte – proposte dai Consulenti Tecnici e dai periti – relative alla causalità materiale dell’evento, spetta al Giudice accertare la sussistenza di una soluzione affidabile, fondata sulle differenti valutazioni scientifiche, ed in grado di confortare le prove emerse nel caso in esame.
Tanto analizzato viene ritenuto che le soluzioni proposte dai Consulenti non consentono una conclusione medico-scientifica utilizzabile per ricostruire i fatti e che debba essere disposta una perizia -anche collegiale- in sede dibattimentale.
In entrambe le decisioni di merito i Giudici hanno fatto affidamento sulle sole conclusioni del Consulente dell’accusa, senza confutare in modo logico ed esaustivo i rilievi del Consulente della difesa.
Nello specifico, non sono state specificate le linee guida che imponevano di trattenere in osservazione il paziente su cui erano stati effettuati accertamenti dai risultati non preoccupanti dal punto di vista della diagnosi di infarto, soprattutto in presenza di una radiografia toracica che faceva propendere per una diagnosi di patologia polmonare.
Per tali ragioni, la Suprema Corte ritiene fondate le doglianze dell’imputata in relazione alla logicità e congruità della motivazione, assorbiti, dunque, i motivi di ricorso proposti dalle parti civili.
In particolar modo, risulta del tutto contraddittoria l’affermazione della sussistenza della prova che l’infarto fosse già in atto al momento della dimissione del paziente dal Pronto Soccorso e che vi fossero elementi per riconoscerlo.
Le conclusioni dei Consulenti sono discordanti e, pertanto, andava disposta una ulteriore perizia onde definire in maniera univoca l’insorgenza dell’infarto.
In mancanza di tale dato non è possibile ritenere provata la colpevolezza dell’imputata oltre ogni ragionevole dubbio, non risultando congruamente confutata la tesi difensiva secondo cui l’infarto sarebbe insorto successivamente alle dimissioni dal Pronto Soccorso.
Inoltre, osservano gli Ermellini, si ravvisa carenza motivazionale in relazione alla mancata indicazione della legge di copertura scientifica che fonderebbe la necessità di ripetere gli esami diagnostici, atteso che l’ECG risultava normale ed i marker di cardiopatia ischemica davano risultati tranquillizzanti. I
Ed ancora, il Giudice di merito non dava conto del perché si fosse ritenuto che il dolore al petto non fosse variabile con il respiro – concordemente a quanto riferito dai testi – nonostante in sede di triage si fosse riportato diversamente.
La sentenza impugnata viene annullata con rinvio in diversa composizione.
La Corte d’Appello dovrà valutare il risultato degli esami radiografici da cui emerge un addensamento in sede polmonare, ai fini della diagnosi differenziale e quindi alla sussistenza e al grado della colpa dell’imputata, tenendo conto del rilievo difensivo secondo cui l’omissione avrebbe riguardato soltanto la ripetizione degli accertamenti diagnostici nonché di quello relativo al fatto che il Medico che aveva inizialmente preso in carico il paziente avesse già diagnosticato una patologia polmonare per cui non si sarebbe trattato di erronea applicazione delle linee guida relative all’infarto bensì dell’applicazione di un diverso protocollo.
Avv. Emanuela Foligno
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