Confermata in Cassazione la responsabilità di un automobilista per la morte di un ciclista investito su una strada provinciale, nonostante il conducente del velocipede non indossasse il giubotto catarinfrangente

Era finita a giudizio per il reato di cui all’art. 589 cod. pen. perché, per colpa consistita nella violazione della regola cautelare di cui all’art. 141 CDS, in particolare per non aver adeguato la condotta di guida della propria autovettura allo stato dei luoghi in cui transitava, aveva cagionato la morte di un ciclista investito mentre era alla guida del proprio velocipede senza il giubotto catarinfrangente.

In base a quanto ricostruito dai giudici del merito la donna, infermiera, dopo il turno in ospedale, alla guida della propria autovettura, nel percorrere la carreggiata rettilinea pianeggiante di una strada provinciale con limite di velocità 70 km/h, giunta nei pressi di un sottopasso ferroviario, procedendo ad una velocità di circa 60/70 km/h, era entrata in collisione con la bicicletta condotta dalla vittima che marciava ad una velocità di 15/25 kmh nella stessa direzione, ad una distanza di 90 centimetri dal margine destro della carreggiata. Il ciclista non indossava il giubbotto ad alta visibilità con catarifrangenti; l’illuminazione pubblica era assente, il manto stradale asciutto, non venivano rilevate tracce di frenata; il punto d’urto era individuato nel sottopasso a circa 80-90 centimetri dal margine destro, dove erano rinvenuti frammenti del catarifrangente posteriore della bici e il cestino di metallo; l’autovettura riportava danni nella parte anteriore destra, il velocipede nella parte posteriore.

Il Giudice di primo grado aveva ritenuto che non vi fosse prova dell’esigibilità di una condotta alternativa da parte dell’imputata idonea a evitare l’evento mortale e ciò in quanto non era provato che i dispositivi di illuminazione del velocipede fossero in funzione mentre i catarifrangenti posti sui pedali potevano non essere visibili al momento dell’impatto a causa delle scarpe sportive indossate dalla vittima; al tempo stesso si riteneva possibile che il ciclista si fosse spostato repentinamente dal lato destro della carreggiata sulla sinistra, per evitare una pozza di acqua posta lungo la sua corsia di marcia.

La Corte d’appello aveva riformato la pronuncia del Tribunale condannando l’imputata alla pena di sei mesi di reclusione.

Il Collegio distrettuale, nello specifico, aveva giudicato la colpevolezza della donna in quanto dai rilievi fotografici e planimetrici risultava che il catarifrangente posteriore del velocipede fosse installato e rendesse la bici avvistabile, nonostante la vittima non indossasse il giubbotto catarifrangente e non si avesse la prova che i dispositivi dei pedali della bicicletta fossero concretamente visibili.

Inoltre, il Giudice del gravame stabiliva che l’automobilista non avesse tenuto una guida attenta e prudente che le avrebbe consentito di avvistare la bicicletta o comunque di evitarla, frenando o allargandosi verso il centro della carreggiata e comunque riducendo la velocità. Infine, a suo avviso, in base al punto d’urto, riteneva che nessuna manovra repentina fosse imputabile al ciclista che, al momento dell’investimento, si trovava a 90 centimetri dal margine destro, in quanto si era spostato già da tempo verso il centro della carreggiata, proprio per superare la pozzanghera che si trovava all’inizio del sottopasso.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, la ricorrente deduceva, tra gli altri motivi, che la Corte di appello avesse riformato la sentenza assolutoria sulla base di una diversa valutazione delle dichiarazioni del consulente tecnico del pubblico ministero senza procedere alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale come imposto dall’art. 603, comma 3-bis, c.p.p.; lamentava poi la mancanza o illogicità della motivazione della sentenza impugnata, che non si confrontava con quanto affermato nella memoria difensiva presentata alla Corte di appello avente ad oggetto la puntuale ricostruzione della dinamica dell’incidente;

La Cassazione, tuttavia, con la sentenza n. 33226/2020 ha ritenuto di non aderire alle argomentazioni proposte respingendo il ricorso in quanto infondato.

Come risultava dalla argomentata motivazione della sentenza impugnata, il giudice di secondo grado aveva infatti ricostruito i fatti in termini diversi da quelli cui era approdato il Tribunale alla luce della valorizzazione di elementi tecnici oggettivi desumibili dalla relazione scritta del consulente tecnico del Pm (non dalle sue dichiarazioni), dalla documentazione fotografica e dai rilievi della polizia giudiziaria, in particolare dal rinvenimento dei frammenti del catarifrangente posteriore della bici e dalla individuazione del punto d’urto situato a 90 cm dal margine destro, dati oggettivi che, secondo la Corte territoriale, avrebbero consentito l’avvistamento in concreto del velocipede da parte dell’imputata. Ciò anche in considerazione del fatto che il tratto di strada, rettilineo sia prima e lungo il sottopasso, rendeva visibile la bici a seguito dell’accensione dei fari, sia abbaglianti che anabbaglianti, e quindi rendeva esigibile la manovra di emergenza, con spostamento verso il centro della carreggiata o comunque di frenata da parte dell’infermiera per evitare l’evento mortale o comunque rendere meno drammatico l’effetto della collisione.

La Corte d’appello, quindi, ai fini del decidere, aveva dato particolare e specifico rilievo all’insieme dei dati oggettivi acquisiti durante l’istruttoria e aveva argomentato che, proprio la presenza del catarifrangente posteriore di cui erano stati rinvenuti solo i frammenti ma che costituiva “l’elemento fisso e tipico di ogni velocipede dotato di dispositivo di illuminazione”, rendesse la bicicletta visibile da chi era alla guida dell’auto sia che l’imputata avesse azionato gli abbaglianti o invece solo i fari anabbaglianti (in quest’ultimo caso il velocipede era visibile a circa dieci metri di distanza).

Valorizzando questi elementi tecnici, desunti, oltre che dai rilievi fotografici effettuati dalla polizia giudiziaria, dalla consulenza tecnica depositata dal Pubblico Ministero, la Corte territoriale aveva affermato, sulla base della stessa rappresentazione dei luoghi e della dinamica del sinistro ritenuta dal primo giudice, la responsabilità per colpa della ricorrente in quanto non aveva avuto una guida attenta e prudente in relazione alle condizioni di luogo e di tempo (ora notturna attraversamento di un sottopasso privo di illuminazione) e non aveva compiuto alcuna manovra di emergenza (spostamento al centro della carreggiata o azionamento del dispositivo di frenata) per evitare il velocipede, che era ben visibile anche in considerazione dei vestiti chiari indossati dalla vittima.

La sentenza impugnata, alla luce dei principi esposti, risultava fondata su una motivazione “rinforzata”, idonea a spiegare e ad evidenziare, anche alla luce delle deduzioni difensive, quali fossero le emergenze istruttorie certe idonee a confutare il ragionamento del Tribunale.

In particolare la Corte d’Appello aveva evidenziato alla luce della incontestata rappresentazione dei luoghi: “che il fatto che la vittima non indossava il giubbotto catarifrangente e non vi è prova certa che i dispositivi dei pedali della bicicletta fossero visibili non esclude che il ciclista fosse ben visibile in quanto sicuramente il veicolo era dotato del catarifrangente posteriore, elemento fisso e tipico della bicicletta, che è stato trovato in frantumi sul luogo dell’impatto; che il tratto di strada era rettilineo e quindi se la imputata avesse azionato gli abbaglianti poteva avvistare il velocipede ben prima del sottopasso, se invece aveva utilizzato solo gli anabbaglianti il ciclista era avvistabile a 10 metri di distanza e quindi avrebbe potuto porre in essere una minima manovra di emergenza spostandosi verso il centro della carreggiata o anche solo di frenata per attutire l’impatto; che proprio la presenza del ciclista quasi al centro della carreggiata avrebbe dovuto imporre alla imputata una velocità più adeguata alle condizioni di luogo e tempo (si trovava infatti all’interno di un sottopassaggio con riduzione di visibilità assenza di spazi di manovra esterni e con una vasta pozzanghera al lato destro dell’ inizio della carreggiata) e comunque inferiore a quella da crociera tenuta in concreto (63/73 Kmh)”.

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