Respinto il ricorso di un agente di polizia che chiedeva il risarcimento del danno all’immagine per la mancata tempestiva sostituzione delle divise da parte del Comune

Il danno all’immagine per la mancata tempestiva sostituzione delle divise non può essere ritenuto in re ipsa perché al contrario, al pari di ogni altra voce di danno, deve essere allegato e provato da chi ne pretende il risarcimento, in quanto non coincide con l’inadempimento ma è una conseguenza dello stesso.

Lo ha chiarito la Cassazione con l’ordinanza n. 27763/2020 pronunciandosi sull’impugnazione, da parte di un agente di polizia municipale, della sentenza con cui i Giudici del merito avevano rigettato il ricorso volto ad ottenere l’accertamento del suo diritto alla fornitura dei capi di vestiario da indossare in servizio e la condanna del Comune al pagamento dell’indennità sostitutiva, parametrata al valore dell’acquisto delle divise, oltre al risarcimento dei danni all’immagine ed alla dignità personale e professionale, da liquidare in via equitativa.

La Corte territoriale, in particolare, nel premettere in fatto che il Comune, in realtà, aveva provveduto a fornire le uniformi, estive e invernali, sebbene con un anno di ritardo rispetto alla data prevista per la sostituzione, aveva rilevato che dall’inadempimento del Comune non poteva discendere in via automatica il diritto dell’appellante al pagamento dell’indennità sostitutiva rivendicata, non prevista dalla contrattazione collettiva, da norme di legge o da atti deliberativi, sicché il ricorrente avrebbe potuto solo richiedere il rimborso della spesa sostenuta, nell’ipotesi in cui avesse provveduto all’acquisto, e il risarcimento del danno che, però, doveva essere allegato e provato dal dipendente dell’ente, il quale nella specie non aveva assolto all’onere sullo stesso gravante.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte il ricorrente denunciava l’inadempimento del Comune, integrante un illecito, per sostenere che doveva essere riconosciuto il suo diritto  al risarcimento del danno emergente e del lucro cessante, danno da parametrare al valore di mercato della divisa non tempestivamente sostituita.

Inoltre, addebitava al Collegio distrettuale di avere ritenuto non provato il danno che, al contrario, poteva essere liquidato con valutazione equitativa, assumendo come parametro la spesa che gli agenti avrebbero dovuto sostenere per l’acquisto. Aggiungeva, infine; che l’inadempimento del Comune lo aveva costretto ad indossare una divisa “già vecchia” e, pertanto, il danno non patrimoniale era da ritenere in re ipsa.

I Giudici Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto infondati i motivi di doglianza alla luce della giurisprudenza di legittimità, che ha ravvisato nella mancata fornitura della massa vestiaria un inadempimento contrattuale che legittima l’azione risarcitoria, ma a condizione che il lavoratore alleghi e dimostri di avere subito un pregiudizio economico, qual è l’usura di abiti propri, o di avere dovuto sopportare un costo per l’acquisto dei beni non forniti dal datore.

Dal Palazzaccio hanno poi precisato che alla mancata prova del danno non può sopperire la valutazione equitativa, perché l’esercizio del potere discrezionale conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 cod. civ. presuppone che sia dimostrata l’esistenza di danni risarcibili ma risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicché resta fermo l’onere della parte di dimostrare l’an debeatur del risarcimento, onere che nella fattispecie la Corte territoriale, con accertamento di fatto non censurabile, aveva ritenuto non assolto nella fattispecie.

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