Non è vessatoria la clausola (c.d. claims made) che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto, o comunque entro determinati periodi di tempo preventivamente individuati
La vicenda
Una coppia aveva agito in giudizio al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito della condotta negligente tenuta dai sanitari della struttura ospedaliera convenuta in giudizio, in occasione dell’assistenza prestata alla gestante che, nell’occasione, aveva partorito il figlio con gravissimi postumi permanenti. Si costituì in giudizio la Provincia chiedendo il rigetto della domanda e l’autorizzazione a chiamare in causa le proprie compagnie assicuratrici per la responsabilità civile, al fine di essere dalle stesse manlevate. Ottenuta l’autorizzazione, si costituirono le due società eccependo l’inoperatività delle stipulate polizze per la presenza nelle stesse di clausole c.d. claims made.
In primo grado, il Tribunale, affermata la responsabilità della convenuta struttura ospedaliera, la condannò al risarcimento in favore degli attori; rigettò, invece, per inoperatività delle polizze, la domanda di manleva della Provincia, rilevando che: 1) la condotta colposa dei sanitari della Provincia si era realizzata nel marzo del 2002, mentre la richiesta risarcitoria era stata formulata dalla Provincia per la prima volta nell’agosto del 2009; 2) tra la Provincia e le compagnie assicurative, in coassicurazione, erano state stipulate tre polizze: una efficace per il periodo 1-1-2001/31-12/2001 e rinnovata sino al 31-12-2003 (valida per le richieste di risarcimento presentate dall’assicurato durante il periodo di efficacia dell’assicurato durante il periodo di efficacia dell’assicurazione, a condizione che il fatto cui aveva dato origine alla richiesta di risarcimento fosse stato commesso nel medesimo periodo o anche in epoca antecedente ma comunque non prima di tre anni dalla data di perfezionamento del contratto); un’altra polizza efficace per il periodo dal 31-12-2003 al 31-12-2005 (contenete analoga clausola); ed infine, l’ultima efficace per il periodo 31-12-2005/31-12-2008, rinnovata sino al maggio 2009 valida pe le richieste di risarcimento presentate dall’assicurato durante il periodo di efficacia dell’assicurazione, a condizione che il fatto cui aveva dato origine alla richiesta di risarcimento fosse stato commesso nel medesimo periodo o anche in epoca antecedente ma comunque non prima del 31-12-2000. Tanto premesso il Tribunale aveva ritenuto non vessatoria la clausola “claims made” contenuta nelle suddette polizze, in quanto la copertura era estesa ai fatti commessi nei tre anni precedenti la data di perfezionamento dei contratti.
La Corte d’appello di Roma confermò la pronuncia di prime cure, ribadendo la validità ed efficacia delle predette clausole.
Contro tale sentenza la Provincia propose ricorso per Cassazione contestando il giudizio espresso dai giudici di merito circa la “meritevolezza” delle citate clausole contenute nelle polizze assicurative.
In linea con le recenti pronunce della Suprema Corte a Sezioni Unite (9140/2016 e 22437/2018) la Corte di Cassazione (Terza Sezione Civile, sentenza n. 8117/2020) ha ribadito che nel corpo del tipo “assicurazioni contro i danni” si inquadra il sottotipo “assicurazione della responsabilità civile”, caratterizzato dalla circostanza che il sinistro, delle cui conseguenze patrimoniali l’assicurato intende traslare il rischio sul garante, è collegato non solo alla condotta dell’assicurato danneggiante ma anche alla richiesta, avanzata dal danneggiato, di risarcimento per detta condotta; ove infatti, al comportamento lesivo non faccia seguito alcuna domanda di ristoro, non sorge ovviamente nessun diritto di indennizzo e, specularmente, nessun obbligo di manleva; siffatto sottotipo, delineato dall’art. 1917 c.c., è improntato al sistema “loss occurrence” o “act committed” (e cioè della “insorgenza del danno”), ove la copertura opera, come evidente dal tenore letterale del menzionato art. 1917, comma 1, c.c., in relazione a tutte le condotte generatrici di domande risarcitorie insorte nel periodo di durata del contratto, indipendentemente dalla data della richiesta risarcitoria.
Le clausole “claims made”
Siffatto modello civilistico, tuttavia, non essendo l’art. 1917, comma 1 c.c., menzionato dall’art. 1932 c.c. tra le norme inderogabili, non è intangibile, sicché è consentito alle parti, nell’esercizio della loro facoltà di determinare il contenuto del contratto (art. 1322, comma 1 c.c.), modulare l’obbligo del garante di tenere indenne il garantito; nell’ambito di detta determinazione del contenuto contrattuale va inquadrato il contratto di assicurazione per responsabilità civile con clausola “claims made” (e, cioè, “a richiesta fatta”), che si caratterizza per il fatto che la copertura assicurativa è condizionata alla circostanza che il sinistro venga denunciato (dal danneggiato all’assicurato e da questi all’assicurazione) nel periodo di vigenza della polizza (o anche in un delimitato arco temporale successivo, ove sia pattuita la c.d. “sunset clause”); detta clausola “claims made”, a sua volta, può essere “pura”, se la copertura assicurativa è condizionata solo alla circostanza che il sinistro venga denunciato nel periodo di vigenza della polizza, indipendentemente dalla data di commissione del fatto illecito; oppure “impura” (o “mista”), se la copertura assicurativa è condizionata alla circostanza che sia la denuncia sia il fatto illecito intervengano nel periodo di efficacia del contratto (con retrodatazione, in alcuni casi, alle condotte poste in essere anteriormente; in genere due o tre anni dalla stipula del contratto).
A tal proposito si è anche detto che nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto, o comunque entro determinati periodi di tempo preventivamente individuati (e cioè, la clausola “claims made” mista o impura), non è vessatoria, in quanto non può essere qualificata come limitativa della responsabilità, per gli effetti dell’art. 1341 c.c. (Cass. Sezioni Unite, n. 9140/2016).
La tipizzazione legislativa
Una clausola è limitativa di responsabilità quando limita le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o esclude il rischio garantito, e cioè esclude una responsabilità che, rientrando nell’oggetto del contratto sarebbe altrimenti (in mancanza appunto della clausola) insorta; la clausola, “claims made”, invece, è da ritenersi limitativa dell’oggetto del contratto, in quanto riguarda il contenuto ed i limiti stessi della garanzia assicurativa, atteso che la stessa specifica il rischio garantito, allo scopo di stabilire gli obblighi concretamente assunti dalle parti; in altre parole, la clausola in questione circoscrive la copertura assicurativa in dipendenza di un fattore temporale aggiuntivo rispetto al dato costituito dall’epoca in cui è stata realizzata la condotta lesiva, e stabilisce quali siano, rispetto all’archetipo fissato dall’art. 1917 c.c., i sinistri indennizzabili, così venendo a delimitare l’oggetto, piuttosto che la responsabilità (Cass. 17783/2014; Sezioni Unite n. 9140/2016).
Siffatto modello, già ampiamente diffuso nell’ambito del mercato assicurativo, ha trovato peraltro, di recente, espresso riconoscimento legislativo (art. 11 L. 24/2017 e 3, comma 5, d.l. 138/2011, convertito con modificazioni in L. 148/2011, novellato dall’art. 1, comma 26, L. 124/2017) ed è divenuto, pertanto, legalmente tipico; dette disposizioni, infatti, nell’imporre l’obbligatorietà (per le strutture sanitarie) dell’assicurazione per la responsabilità civile, prevedono, al riguardo , un meccanismo non legato “al fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione”, di cui al primo comma dell’art. 1917 c.c. (tali norme stabiliscono, infatti, tra l’altro, una operatività temporale della garanzia anche per gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto, purché denunciati all’impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza, e, in caso di cessazione definitiva dell’attività professionale, precedono un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi).
L’autonomia negoziale delle parti
Da siffatta collazione del modello “claims made” nell’area della tipicità legale, consegue che, rispetto al singolo contratto di assicurazione, non si impone un test di meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, ai sensi dell’art. 1322, secondo comma, c.c. (che presuppone l’atipicità), e la tutela invocabile dal contraente assicurato agisce invece sul solo piano della libera determinazione del contenuto contrattuale e della “causa concreta” del contratto (e cioè dello scopo pratico del negozio, quale sintesi degli interessi che lo stesso negozio è concretamente diretto a realizzare), e concerne il rispetto, in detta determinazione, dei “limiti imposti dalla legge”, ai sensi dell’art. 1322, comma 1, c.c.
Nel caso di specie, la Corte territoriale, facendo corretta applicazione dei suesposti principi di diritto, aveva espressamente ritenuto valide le clausole “claims made” contenute nelle polizze in questione; nello specifico aveva correttamente ritenuto valida la polizza oggetto di causa, atteso che la stessa, pur non prevedendo una copertura per denunce successive al periodo di efficacia (e cioè una copertura postuma), comprendeva nella garanzia anche condotte relative ad un lungo periodo precedente la stipulazione, sicché doveva ritenersi che la clausola “claims made” offrisse una tutela anche nel suo ultimo giorno di validità (o comunque nel suo periodo finale), in virtù del fatto che proficuamente anche l’ultimo giorno poteva essere presentata una richiesta di danno afferente a periodo pregresso; in particolare, poi, la Corte d’Appello aveva valutato la sussistenza, in entrambe le parti, della consapevolezza sul modo con il quale operavano le polizze dalle stesse sottoscritte, ed aveva escluso sia un uso strumentale della facoltà di recesso sia una imposizione del contenuto ad opera del contraente forte.
Tali valutazioni, implicando questioni di fatto, sono insindacabili in sede di legittimità; per queste ragioni il ricorso è stato rigettato.
Avv. Sabrina Caporale
Hai vissuto una situazione simile? Scrivi per una consulenza gratuita a redazione@responsabilecivile.it o invia un sms, anche vocale, al numero WhatsApp 3927945623
Leggi anche:
ASSICURAZIONE: L’ONERE DELLA PROVA SUI RISCHI COPERTI DALLA POLIZZA