Dopo lo scioglimento del matrimonio la donna può mantenere il cognome del marito, aggiunto al proprio, solo se sussiste un interesse meritevole di tutela suo o dei figli

La conservazione del cognome del marito dopo lo scioglimento del matrimonio è un’ipotesi straordinaria che non può avere luogo solo per il mero desiderio di conservazione in quanto potrebbe costituire un pregiudizio per il coniuge che non vi acconsenta.

In tali termini si è espressa la Suprema Corte (Cass. Civ., sentenza n. 3454 del 11 dicembre 2019), sulla singolare vicenda posta all’esame di legittimità.

Devono ricorrere delle circostanze eccezionali  per consentire la conservazione del cognome del marito dopo il divorzio, la cui valutazione è rimessa al Giudice del merito.

La vicenda approda in Cassazione dalla Corte d’Appello di Palermo che confermava  la  decisione  di  primo grado  che  aveva  respinto  la  domanda  volta  alla  conservazione  del diritto di utilizzare il cognome maritale.

La ricorrente censura in Cassazione la decisione di rigetto della domanda di conservazione del cognome maritale in quanto non valutata dal Giudice di merito riguardo il concreto interesse morale e sociale sussistente e meritevole di tutela.

La Corte ritiene infondati i motivi di doglianza della donna.

In  tema  di  cognome  maritale  l’art.  143-bisc.c.  prevede  che  la moglie aggiunga al proprio cognome quello del marito e lo conservi durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze.

Quindi il diritto alla conservazione del cognome consegue esclusivamente al rapporto di  coniugio.

Tali principi sono confermati dalla legge n. 898/1970 in tema di divorzio, ove è detto: “Il tribunale, con la sentenza con cui pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, può autorizzare la donna  che ne faccia richiesta a conservare il  cognome del marito aggiunto al proprio quando sussista un interesse suo o dei figli meritevole di tutela”.

Ne deriva che l’eccezionale deroga alla  perdita del cognome maritale è discrezionale e richiede la ricorrenza del presupposto dell’interesse.

La valutazione della ricorrenza delle circostanze eccezionali che consentono l’autorizzazione all’utilizzo del cognome del marito è rimessa al Giudice del merito  giacché “di regola non è ammissibile conservare il cognome del marito dopo la pronuncia di divorzio, salvo che il Giudice di merito, con provvedimento motivato non  disponga  diversamente”. 

Ciò detto, secondo la Corte il Giudice di merito si è attenuto correttamente ai principi giuridici e ha motivato la insussistenza di un interesse concreto al mantenimento del cognome maritale.

In particolare è stato ritenuto che nessun interesse concretamente meritevole di tutela sia stato allegato dalla donna per giustificare il mantenimento del cognome maritale unitamente al proprio, perché “sostanzialmente rivolto alla conservazione e/o affermazione della notorietà derivatale  dall’ex marito nelle frequentazioni sociali, ossia tra quelle stesse  persone  che,  come evidenziato dal Tribunale, non possono ignorare le vicende della  coppia”.

Egualmente, correttamente, il Giudice di merito ha considerato insussistente un interesse tutelabile “la  notorietà  dell’uomo con cui la donna è  stata sposata, perché l’interesse a ciò sotteso sarebbe senza dubbio effimero”.

Nel merito è stato inoltre anche considerato il periodo di durata del matrimonio e l’età dei coniugi al momento della celebrazione del matrimonio, quale irrilevante ai fini del mantenimento del cognome maritale.

Eguali considerazioni sono state svolte nei confronti della figlia minore.

Il ricorso della donna viene rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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