Confermata la condanna per un collaboratore scolastico accusato di violenza sessuale per aver baciato un’alunna di età inferiore ai quattordici anni  

La vicenda

La Corte di appello di Napoli aveva confermato la sentenza di condanna pronunciata dal giudice di primo grado a carico di un collaboratore scolastico accusato del reato di violenza sessuale ai danni di una alunna di età inferiore ai quattordici anni e lo aveva condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di un anno e otto mesi di reclusione, previa applicazione della diminuente della minore gravità del fatto.

Secondo i giudici di merito, l’imputato, impiegato presso una scuola statale secondaria di primo grado, aveva commesso il reato baciando in bocca con la lingua la vittima, mentre la stessa si era appartata per fumare all’interno di uno sgabuzzino.

La sentenza è stata impugnata con ricorso per cassazione. A detta della difesa la corte d’appello aveva fatto errata applicazione della legge penale in ordine alla ritenuta configurabilità dell’elemento oggettivo del reato e inoltre non aveva valutato correttamente l’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, unico elemento di accusa, alla luce delle complessive risultanze acquisite.

Ma il ricorso è stato dichiarato inammissibile (Corte di Cassazione, Sezione Terza, sentenza n. 1570/2020).

La Corte di Cassazione ha confermato la pronuncia impugnata perché coerente e immune da vizi. A detta degli Ermellini, i giudici della Corte d’appello avevano esaminato approfonditamente, e sulla base di massime di esperienza accettabili e congrue, le fonti di prova acquisite. In particolare, il racconto della vittima, puntualmente esposto nella sentenza impugnata, era stato giudicato intrinsecamente attendibile perché ricco di dettagli e privo di contraddizioni, nonostante fosse stato reso nel corso dell’esame incrociato a dibattimento a distanza di cinque anni dai fatti, ed inoltre non era connotato da alcuna pervicace volontà punitiva, anche per la mancata costituzione di parte civile.

L’indicata narrazione della vittima era stata, inoltre, ritenuta non smentita dagli altri elementi di prova perché giudicata sostanzialmente coincidente con quello delle altre persone informate dei fatti, le quali avevano riferito su quanto appreso nell’immediatezza dalla vittima.

Manifestamente infondate sono state, perciò, ritenute le censure esposte dal ricorrente in ordine all’errata sussumibilità dei fatti accertati nella fattispecie del reato di violenza sessuale.

Invero, la condotta di baciare sulla bocca una persona, secondo ripetute e non contrastate affermazioni giurisprudenziali, è idonea ad integrare il reato di cui all’art. 609-bis cod. pen.

Da quanto emerso nel giudizio, l’imputato dopo aver tolto “la sigaretta dalla bocca della vittima la baciò introducendo la propria lingua nella bocca della stessa, con un contatto perdurato per circa 4 o 5 secondi”.

I giudici della Suprema Corte non hanno perciò avuto dubbi nel confermare la conclusione cui era pervenuta la corte d’appello secondo cui l’atto, per la zona attinta e l’atteggiamento tenuto dall’imputato, non poteva che essere qualificato come violenza sessuale.

In definitiva il ricorso è stato dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.

La redazione giuridica

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