L’ingegnere o architetto ha diritto al risarcimento dei maggiori danni, in caso di sospensione dell’incarico dovuta a cause da lui non dipendenti anche nell’ipotesi di recesso del committente

La revoca o sospensione dell’incarico

“Il compenso spettante ad un ingegnere per le prestazioni parziali rese deve esser aumentato del 25%, ai sensi dell’art. 18 legge della tariffa professionale degli ingegneri e architetti (L. 2 marzo 1949, n. 143), indipendentemente dalla circostanza che il mancato completamento dell’incarico sia dipeso dalla revoca di quest’ultimo, proveniente dal committente e determinata dall’inadempimento del professionista”.

La Corte di Cassazione ha fornito un’interpretazione sistematica agli artt. 10 e 18 della Legge Professionale, muovendo dalla lettera dell’art. 10, che stabilisce tale aumento in caso di “sospensione dell’incarico per qualsiasi motivo”, specificando al comma 2 che il diritto al risarcimento di maggiori danni è escluso se la sospensione è imputabile al professionista (Cassazione civile sez. II, 17/07/1999, n. 7602).

La giurisprudenza

Detto indirizzo ha trovato conferma in una successiva pronuncia dell’11/09/2009, n. 19700, ove è stato affermato che “l’art. 10, comma 2 della tariffa professionale degli ingegneri ed architetti, approvata con L. 2 marzo 1949, n. 143, nell’attribuire al professionista il diritto al risarcimento dei maggiori danni, in caso di sospensione dell’incarico dovuta a cause da lui non dipendenti, trova applicazione anche nell’ipotesi di recesso del committente, consentendo al professionista di provare la condotta colpevole di quest’ultimo, ai fini del conseguimento dell’integrale ristoro del danno”.

Nel caso in esame, la corte di merito non aveva fatto corretta applicazione di tali principi di diritto, avendo escluso la maggiorazione prevista dall’art. 10, per le “prestazioni sospese”, consistenti nella progettazione esecutiva e nella direzione dei lavori, ritenendo che esse non fossero state svolte dal professionista e che comunque, a causa della modifica dello strumento urbanistico, non sarebbero mai state svolte.

La vicenda

La Corte d’Appello di Firenze, in parziale riforma della prima pronuncia, aveva parzialmente accolto l’opposizione di un architetto riducendo le competenze professionali ad esso spettanti secondo i minimi tariffari in ragione dell’impossibilità di realizzazione del progetto di lottizzazione. Il professionista aveva infatti presentato il progetto presso i competenti uffici comunali solo due giorni dopo l’entrata in vigore delle nuove norme urbanistiche, circostanza non imputabile al tecnico. La Corte territoriale aveva, tuttavia, escluso l’aumento richiesto per “prestazioni sospese” inerenti alla progettazione esecutiva e alla direzione dei lavori.

Impugnata con ricorso per cassazione, la sentenza della corte d’appello è stata cassata con rinvio dai giudici della Seconda Sezione Civile della Cassazione (sentenza n. 451/2020), a detta dei quali le maggiorazioni erano dovute al professionista indipendentemente dallo svolgimento dell’attività, essendo il progetto e la direzione dei lavori previsti nell’incarico ed indipendentemente dai motivi della sospensione, trattandosi di obbligazione di natura indennitaria.

Il principio di diritto

Per l’effetto della pronuncia della Suprema Corte, la causa è stata rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze, perché, esaminato l’oggetto dell’incarico conferito al professionista, applicasse il seguente principio di diritto:

“Il compenso spettante ad un architetto o ingegnere per le prestazioni parziali rese deve esser aumentato, ai sensi dell’art. 18 Legge della tariffa professionale degli ingegneri e architetti indipendentemente dalla causa relativa al mancato completamento dell’incarico e anche se esso sia stato determinato dalla revoca di quest’ultimo, proveniente dal committente”.

Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente aveva dedotto la violazione e falsa applicazione della L. 5 maggio 1976, n. 340 e della L. n. 143 del 1958, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere operato la riduzione del 30% sul compenso determinato secondo i minimi tariffari, mentre l’inderogabilità dei minimi tariffari era prevista dal verbale di assemblea con cui era stato conferito l’incarico e dalle tariffe professionali degli architetti e degli ingegneri.

Anche questo motivo è stato accolto. I giudici della Suprema Corte hanno ribadito che ai sensi della L. n. 340 del 1976, i minimi tariffari per gli architetti sono inderogabili.

La regola dell’inderogabilità dei limiti tariffari di categoria stabiliti per i professionisti si applica agli incarichi professionali privati (non opera, quindi, in relazione agli incarichi conferiti da enti pubblici), come si evince dalla L. n. 404 del 1977, art. 6.

Mentre, pertanto, i compensi per le prestazioni professionali degli ingegneri ed architetti rese allo Stato e agli altri enti pubblici possono essere concordati, del D.L. n. 65 del 1989, ex art. 4, comma 12 bis, in misura ridotta rispetto ai minimi tariffari, con possibilità di concordare una riduzione dei minimi tariffari senza nullità del patto derogatorio degli anzidetti limiti minimi tariffari, nei rapporti tra privati, i minimi tariffari sono inderogabili.

Poiché, nella specie, il rapporto contrattuale intercorreva tra privati, aveva errato la corte distrettuale ad operare la riduzione del 30% rispetto ai predetti minimi tariffari.

La redazione giuridica

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