Non rileva ai fini del computo della prescrizione per la riscossione dei compensi professionali il momento della presentazione all’ordine degli avvocati del parere di congruità della parcella

La vicenda

Prima della conclusione del processo il difensore di una associazione chiese al competente Consiglio dell’ordine un parere di congruità sulla parcella relativa ai compensi professionali ad esso spettanti.

Sulla base di tale parere ottenne un decreto ingiuntivo nei confronti dell’associazione da cui ebbe avvio l’esecuzione forzata che, tuttavia, si rivelò infruttuosa.

Il professionista si rivolse, pertanto, al Tribunale di Siena, invocando la responsabilità sussidiaria di cui all’art. 38 c.c., di coloro che ricoprivano la carica di segretari della suddetta associazione e che pertanto avevano agito in nome e per conto della stessa nel conferimento dell’incarico professionale.

Ma all’esito del giudizio la domanda fu rigettata avendo il Tribunale ritenuto che l’attore fosse decaduto dal proprio diritto di credito ai sensi dell’art. 1957 c.c., per non avere coltivato la domanda nei confronti dei rappresentanti dell’associazione entro il semestre previsto dalla suddetta norma. Ed invero, il Tribunale aveva fatto decorrere tale termine dalla data in cui l’Ordine degli avvocati emise il suo parere di congruità sulla parcella presentata dal ricorrente.

La sentenza fu confermata in appello ed infine, impugnata con ricorso per cassazione.

Ebbene, la Terza Sezione Civile della Cassazione (n. 4595/2020) ha parzialmente accolto il ricorso del professionista, affermando che il dies a quo del decorso del termine triennale di prescrizione dei compensi professionali dovuti agli avvocati, deve individuarsi nell’esaurimento dell’affare per il cui svolgimento è conferito l’incarico, e tale momento coincide con la data della pubblicazione della sentenza definitiva.

Come è noto, l’art. 1957 c.c., comma 1, pacificamente applicabile al credito vantato dal creditore di una associazione non riconosciuta nei confronti di coloro che hanno agito in nome e per conto di questa, pone a carico del creditore un termine di decadenza, decorrente “dalla scadenza dell’obbligazione principale”.

La “scadenza dell’obbligazione” è il momento in cui il creditore può pretendere l’adempimento del credito che ne formava oggetto.

E poiché l’art. 2957 c.c., comma 2, fa decorre la prescrizione presuntiva del diritto all’onorario professionale dalla conclusione del giudizio per il quale l’opera professionale venne svolta, ciò vuol dire che è solo da tale momento che l’obbligazione può dirsi “scaduta”, ed il relativo diritto può essere fatto valere.

Se dunque il diritto al pagamento dell’onorario professionale può essere fatto valere dopo la conclusione del giudizio, aveva errato la Corte d’appello nel ritenere che la sola presentazione all’ordine degli avvocati del parere di congruità della parcella costituisse il momento di “scadenza dell’obbligazione” ai sensi dell’art. 1957 c.c..

Per le stesse ragioni, e per i medesimi fini, doveva pure ritenersi irrilevante il momento in cui l’avvocato aveva depositato la propria comparsa conclusionale, in quanto come già detto il dies a quo del termine di decadenza andava ravvisato nel deposito della sentenza conclusiva del giudizio.

La giurisprudenza di legittimità

Del resto, tali principi sono stati più volte ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha stabilito che “la conclusione della prestazione, che l’art. 2957 c.c., comma 2, individua quale “dies a quo” del decorso del termine triennale di prescrizione delle competenze dovute agli avvocati, deve individuarsi nell’esaurimento dell’affare per il cui svolgimento fu conferito l’incarico, momento che coincide con la pubblicazione del provvedimento decisorio definitivo (Sez. 2 -, Ordinanza n. 21943 del 02/09/2019).

Indiretta conferma di tale principio si trae altresì dal decisum della Terza Sezione n. 7281 del 11/05/2012, secondo il quale “la prescrizione del diritto dell’avvocato al pagamento dell’onorario può decorrere non solo dal verificarsi dei fatti previsti dall’art. 2957 c.c., ma anche dal momento in cui, per qualsiasi causa, cessi il rapporto col cliente, ivi compresa la morte di quest’ultimo”. Pertanto, prima della definizione del giudizio, solo la cessazione del rapporto di mandato avrebbe potuto fare ritenere “scaduta” l’obbligazione di pagamento degli onorari e scattato il decorso del termine di cui all’art. 1957 c.c..

In definitiva, la sentenza impugnata è stata cassata limitatamente ai motivi accolti e la causa rinviata alla corte d’appello di Firenze, per un nuovo esame.

La redazione giuridica

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