La Cassazione ha posto, probabilmente, la parola fine al dibattito relativo alla necessità degli esami strumentali per il risarcimento del colpo di frusta cervicale

Con la pronuncia numero 1.272 del 19 gennaio 2018, la Corte di Cassazione ha posto probabilmente la parola fine all’annoso, se non vetusto, dibattito relativo alla necessità dirimente, o meno, degli esami strumentali al fine di legittimare il risarcimento del danno da colpo di frusta cervicale.

Come sappiamo, la problematica è sorta nel nostro ordinamento a far data dall’entrata in vigore della legge numero 27 del 24 marzo 2012 (di conversione del decreto legge numero 1 del 24 gennaio 2012) che conteneva i celeberrimi comma 3 ter e 3 quater dell’articolo 32.

In particolare, l’articolo 32 comma 3 ter della prefata novella andava, a sua volta, ad aggiornare l’articolo 139 del nuovo codice delle assicurazioni stabilendo quanto segue: “In ogni caso, le lesioni di lieve entità che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente”. Il comma 3 quater dello stesso articolo  introduceva, invece, una norma a sé stante e quindi svincolata dal dettato sistematico del nuovo codice delle assicurazioni e così recitava: “Il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all’articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005 numero 209 è risarcito solo a seguito di riscontro medico-legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione”.

Come noto, era invalsa nella dottrina e nella giurisprudenza una interpretazione con la quale si cercava, per così dire, di “salvare capra e cavoli” onde conferire un dignitoso senso logico a un dispositivo altrimenti incomprensibile perché palesemente contraddittorio.

La soluzione venne rinvenuta, in un primo momento, nella dicotomica contrapposizione tra i due commi, nel senso cioè di ritenere che il 3 ter (il quale andava a modificare l’articolo 139 del nuovo codice delle assicurazioni) doveva intendersi riferito alle menomazione di carattere permanente, mentre il 3 quater (che costituiva, come anzidetto, una norma “sganciata” dalle previsioni dello stesso codice) doveva ritenersi pertinente alle sole lesioni di carattere temporaneo. Con il che ne discendeva quanto segue: per le lesioni carattere permanente era ritenuta indispensabile la sussistenza di un supporto “strumentale” a certificare il lamentato vulnus; al contrario, per quelle temporanee bastava anche semplicemente un accertamento clinico (obiettivo e visivo) da parte del medico legale. Nel dibattito era poi intervenuta una sentenza della Corte Costituzionale nel 2014, la numero 235, che pareva avallare la lettura di cui sopra.

A un certo punto, però, nel 2016 la Cassazione si era discostata da questo consolidato orientamento spiegando come sia il comma 3 ter sia il comma 3 quater dovevano essere considerati unitariamente e nei loro reciproci e sistematici rapporti alla stregua di norme che nulla avevano realmente cambiato rispetto ai criteri in uso precedentemente all’entrata in vigore nella novella del 2012.

In altre parole, la Cassazione aveva sottolineato come i criteri di accertamento a cui si riferiscono i commi dell’art. 32 (cioè quello clinico, quello strumentale e quello obiettivo) non dovevano essere intesi come gerarchicamente ordinati tra loro, ma piuttosto andavano impiegati secondo le leges artis della scienza medica in modo tale da condurre a una obiettività dell’accertamento stesso che riguardasse sia le lesioni che i relativi postumi, se esistenti.

Ebbene, con la sentenza che oggi commentiamo, la Corte di Cassazione ha esplicitamente voluto dare continuità al precedente del 2016. Gli Ermellini, in particolare, hanno ribadito che la normativa introdotta nel 2012 ha avuto sostanzialmente una funzione di carattere esortativo: vale a dire, quella di sollecitare tutti gli operatori del settore a un rigoroso accertamento dell’effettiva esistenza delle patologie di modesta entità in modo tale da evitare quella corsa indiscriminata al risarcimento, anche di postumi inesistenti, che in passato era stata a più riprese stigmatizzata.

Detto questo, ammonisce oggi la Suprema Corte, la novella non aveva assolutamente inteso privare la classe medico-legale di una prerogativa che le è propria in via esclusiva. Ergo, l’accertamento potrà e dovrà  avvenire con criteri clinici ovvero strumentali ovvero obiettivi senza che uno di questi criteri possa ritenersi assorbente e prevaricante rispetto agli altri due.

La Corte di Cassazione ha anche rammentato come la  pronuncia costituzionale del 2014, numero 235 venne seguita da un’altra ordinanza, la  numero 242 del 2015, con la quale si chiarì la ratio della normativa 2012: impedire che l’accertamento diagnostico di pregiudizi relativi alle micro-invalidità riguardasse anche  postumi invalidanti inesistenti o semplicemente enfatizzati.  Ma, soprattutto, la Corte ha testualmente asserito che l’accertamento medico-legale non può essere imbrigliato incatenando la intangibile “sapienza” dell’unico professionista legittimato a pronunciarsi in subjecta materia (il medico-legale, appunto) alla vincolatività dell’esito di un esame strumentale.  Altrimenti, si consentirebbe l’ingresso, nel nostro ordinamento,  a un regime probatorio che –  laddove fosse effettivamente sancito per via normativa –  condurrebbe a serissimi dubbi di illegittimità costituzionale.  Quanto meno alla luce di una elementare e troppo spesso negletta considerazione: il diritto alla salute ha da reputarsi alla stregua di una prerogativa fondamentale della persona umana, garantita dalla Costituzione, e l’eventuale limite alla prova della sua eventuale lesione deve sempre invariabilmente conformarsi a criteri di ragionevolezza.

Vero è –  va pur detto –  che la stessa pronuncia contiene un passaggio in cui sembra paradossalmente assecondare, sul piano empirico, ciò che essa ha “cassato” sul piano giuridico. Ci riferiamo alla parte in cui si mostra cedevole rispetto all’assurda teoria secondo cui una lesione come quella del rachide cervicale va annoverata tra quelle che, ordinariamente (per la loro tenuità), necessitano proprio di un supporto strumentale. Ecco il brano: “Tale possibilità emerge in modo palese nel caso in esame, nel quale si discuteva di una classica patologia da incidente stradale, cioè la lesione del rachide cervicale nota volgarmente come colpo di frusta cervicale. È evidente che il c.t.u. non può limitarsi, di fronte a simile patologia, a dichiararla accertata sulla base del dato puro e semplice – e in sostanza non verificabile – del dolore più o meno accentuato che il danneggiato riferisca; l’accertamento clinico strumentale sarà in simili casi, con ogni probabilità, lo strumento decisivo che consentirà al c.t.u., fermo restando il ruolo insostituibile della visita medico legale e dell’esperienza clinica dello specialista, di rassegnare al giudice una conclusione scientificamente documentata e giuridicamente ineccepibile, che è ciò che la legge attualmente richiede”.

Non v’è dubbio che ai giudici di legittimità sia inavvertitamente “scappata la frizione” nel momento in cui si sono cimentati in un terreno non di loro pertinenza (quello, cioè, delle considerazioni di carattere squisitamente medico-legale relative a una delle più diffuse patologie del ramo dell’infortunistica stradale). Tuttavia, poco dopo, la Corte è “tornata in sé”, ci si passi l’espressione, nell’enucleare l’inequivocabile principio di diritto a cui il Tribunale a quo (quello di Benevento) dovrà ispirarsi nel decidere il merito della vertenza: “In materia di risarcimento del danno, la cosiddetta micro-permanente, di cui all’articolo 139 comma 2 del decreto legislativo 7 settembre 2005 numero 109, va interpretata nel senso che l’accertamento della sussistenza della lesione temporanea e permanente dell’integrità psicofisica deve avvenire con rigorosi e oggettivi criteri medico legali; tuttavia, l’accertamento clinico strumentale obiettivo non potrà in ogni caso   ritenersi l’unico mezzo probatorio che consenta di riconoscere tale lesione a fini risarcitori a meno che non si tratti di una patologia difficilmente verificabile sulla base della sola visita dal medico-legale che sia suscettibile di riscontro oggettivo soltanto attraverso l’esame clinico strumentale”.

Gli avvocati di un tempo avrebbero chiosato con un latinismo. Et de hoc satis: e sul tema si è già scritto abbastanza. Ora guardiamo avanti.

Avv. Francesco Carraro

Foro di Padova

 

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