Condotta imprudente e caso fortuito nell’art. 2051 c.c. (Cass. civ, sez. III, 8 settembre 2023, n. 26209).
La valutazione della condotta imprudente del danneggiato e il caso fortuito nella responsabilità per custodia.
“La capacità di vigilanza sulla cosa in custodia, di mantenerne il controllo e di neutralizzarne le potenzialità dannose, non è elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità, bensì elemento esterno del quale va tenuto conto seguendo il canone interpretativo della ratio legis, come strumento di spiegazione di un effetto giuridico che sta a prescindere da essi”.
Il Tribunale accoglieva la domanda risarcitoria del motociclista per danno cagionato da una buca sull’asfalto stradale e condannava il Comune a risarcire il danno biologico, le spese mediche e i danni materiali al motociclo. La Corte d’appello, invece, riteneva che il danneggiato avesse tenuto una condotta imprudente tale da integrare il caso fortuito ed escludere la responsabilità del Comune.
Il motociclista ricorre in Cassazione.
Gli Ermellini ribadiscono gli ormai consolidati approdi giurisprudenziali (sorti da Cass. 2477/2018 e 2483/2018).
La responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo e per la sua configurazione è necessario il danneggiato deve dimostrare il nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno, il custode per liberarsi deve provare il caso fortuito a nulla rilevando la propria diligenza.
Del resto, le S.U. (20943/2022) hanno chiarito che il fondamento della responsabilità del custode si basa su elementi di fatto individuati sia in positivo, quanto in negativo.
La prova liberatoria del caso fortuito integra un fatto giuridico che si colloca in relazione causale diretta, immediata ed esclusiva con la cosa in custodia, qualora la condotta del terzo e/o la condotta del danneggiato rilevano come atti giuridici caratterizzati dalla colpa (art. 1227 comma 1 c.c.), con rilevanza causale esclusiva o concorrente.
Ragionando in tal senso, sia il fatto (fortuito) che l’atto (del terzo o del danneggiato) si pongono in relazione causale con l’evento di danno alla luce del principio disciplinato dall’art. 41 c.p., che pone come “mera occasione” la relazione con la cosa, deprivata della sua efficienza di causalità materiale, senza cancellarne l’efficienza causale sul piano strettamente naturalistico. Ciò tanto nell’ipotesi di efficacia causale assorbente, quanto in quella di causalità concorrente di tali condotte, poiché, senza la preesistenza e la specifica caratterizzazione della res, il danno non si verificherebbe.
Ciò significa che nell’applicazione dell’art. 2051 c.c. bisogna tenere presente che il sistema risarcitorio si fonda non solo sulla capacità preventiva della colpa, ma anche sul soddisfacimento di esigenze, il tutto con la consapevolezza che essendo il giudizio causale utilizzato per allocare i costi del danno, deve essere calibrato in relazione alla specifica fattispecie di responsabilità.
Ciò posto la suprema Corte ribadisce che la capacità di vigilare la cosa, di mantenerne il controllo e di neutralizzarne le potenzialità dannose, non integra elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità, bensì elemento estrinseco del quale va tenuto conto seguendo il canone interpretativo della ratio legis, come strumento di spiegazione di «un effetto giuridico che sta a prescindere da essi».
Il ricorso del motociclista viene rigettato.
Avv. Emanuela Foligno
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