L’indennizzo eventualmente già corrisposto al danneggiato, in caso di contagio da HCV, può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno

Il ricorrente convenne in giudizio il Ministero della Salute chiedendo il risarcimento del danno per il contagio da HCV quale conseguenza di emotrasfusione. Disattesa la domanda, proposero appello i suoi eredi. L’appello fu rigettato per ritenuta prescrizione del diritto. A seguito di ricorso ai giudici di legittimità, la Cassazione annullò la sentenza impugnata.

Riassunto il giudizio, la Corte d’Appello di Napoli rigettò nuovamente l’appello. La corte territoriale osservò che stante la carenza probatoria circa il decorso della malattia, essendo stato prodotto solo un esame di laboratorio dell’8 marzo 1993 attestante la positività del contagio da virus HCV, la liquidazione per i postumi invalidanti dell’80% doveva essere fatta come se essi si fossero stabilizzati alla data della CTU, cioè al 15 aprile 2005, allorquando il ricorrente aveva 84 anni; sicché, essendo deceduto in data 4 gennaio 2007 (all’età di 86 anni), costui era sopravvissuto meno di due anni rispetto alla data in cui risultava provato il consolidarsi dei postumi permanenti.

Il risarcimento del danno biologico alla vittima del contagio da HCV

I giudici dell’appello aggiunsero, inoltre, che considerato che il danno biologico doveva essere correlato alla durata della vita effettiva, non era utilizzabile il criterio della proporzione (il risarcimento per persona vivente stava al numero di anni ancora da vivere secondo le statistiche di mortalità, come il risarcimento per persona già defunta stava al numero di anni effettivamente vissuti – Cass. n. 13331/2015), perché il consolidamento dei postumi ed il decesso erano avvenuti quando il danneggiato aveva più di 80 anni ed aveva superato l’aspettativa di vita (secondo le statistiche di mortalità ISTAT all’incirca 80 anni), e che quindi il danno doveva essere liquidato con il criterio equitativo puro, nella misura di 30.000 euro, comprensiva di interessi. Osservò ancora che il danneggiato, ormai defunto, aveva percepito l’indennizzo ai sensi della legge 210 del 1992 per una somma pari a 88.916,71 euro e che dovendo tale somma essere detratta da quella dovuta a titolo di risarcimento il saldo era negativo.

Contro tale decisione, gli eredi dell’uomo proposero ancora una volta ricorso per Cassazione, lamentando la mancata applicazione, da parte della corte di merito, delle tabelle del Tribunale di Milano sulla base dell’erroneo presupposto che fosse stata superata l’aspettativa media di vita, laddove invece, secondo i ricorrenti, la durata della vita media dovrebbe essere considerata per ogni singola fascia di età e che essendo al vita media pari a 82 anni, per una persona che ha superato la soglia degli 80 anni vi sarebbe una aspettativa di circa 12 anni in più.

La Corte di Cassazione (Terza Sezione Civile, sentenza n. 8532/2020) ha ritenuto il motivo in parte fondato.

La domanda era stata proposta per l’invalidità permanente ed il giudice di merito avrebbe dovuto fare applicazione, per la liquidazione del relativo danno, delle tabelle del Tribunale di Milano, munite di efficacia para-normativa in quanto concretizzazione del criterio della liquidazione equitativa previsto dall’art. 1226 c.c., e non applicare un criterio equitativo puro, privo peraltro di parametri di riferimento. L’intervenuto decesso della parte comporta tuttavia che la valutazione probabilistica connessa all’ipotetica durata della vita del soggetto danneggiato vada sostituita con quella del concreto danno effettivamente prodottosi, cosicché l’ammontare del danno biologico che gli eredi richiedono iure successionis deve essere calcolato, non con riferimento alla durata probabile della vita della vittima, ma alla sua durata effettiva. In altre parole, il danno tabellarmente determinato dovrà, dal giudice di merito, essere proporzionalmente ridotto avuto riguardo al tempo di effettiva sopravvivenza del danneggiato.

In particolare, il giudice dovrà adottare “il criterio della proporzione, secondo cui il risarcimento che si sarebbe liquidato a persona vivente sta al numero di anni che questi aveva ancora da vivere secondo le statistiche di mortalità, come il risarcimento da liquidare a persona già defunta sta al numero di anni da questa effettivamente vissuti tra l’infortunio e la morte” (Cass. n. 13331/2015).

I giudici del Supremo Collegio non hanno, invece, accolto il terzo motivo di ricorso, ove i ricorrenti denunciavano la violazione o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e L. n. 210 del 1992. Stante la diversa natura delle due erogazioni, ad avviso degli eredi del danneggiato, il diritto al risarcimento del danno conseguente ad una trasfusione di sangue infetto non verrebbe meno in ragione dell’indennizzo previsto dalla L. n. 212 del 1992.

Il motivo è stato dichiarato inammissibile. Il diritto al risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto ha natura diversa rispetto all’attribuzione indennitaria regolata dalla L. n. 210 del 1992; tuttavia, nel giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della salute per omessa adozione delle dovute cautele, l’indennizzo eventualmente già corrisposto al danneggiato può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno (“compensatio lucri cum damno”), venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo (Cass. n. 991 del 2014; n. 6573 del 2013; n. 584 del 2008).

In definitiva, la sentenza è stata parzialmente cassata con rinvio alla corte d’appello di Napoli per un nuovo esame della vicenda.

La redazione giuridica

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