Contributo personale e determinazione dell’assegno divorzile (Cass. civ., sez. I,  9 settembre 2022, n. 26672).

Contributo personale e invalidità pesano sulla determinazione dell’assegno divorzile.

Viene respinto il ricorso dell’ex marito che lamentava la non corretta valutazione dei parametri previsti dall’art. 5, comma 6, l. n. 898/1970 da parte dei Giudici di merito.

La Suprema Corte ribadisce che nella determinazione dell’assegno divorzile possono essere utilizzati solo alcuni dei parametri di legge, purchè corredati di idonea motivazione.

La vicenda posta alla decisione della Cassazione deriva dal riconoscimento di un assegno divorzile a favore dell’ex moglie della somma mensile di 1300 euro.

Il Tribunale di Busto Arsizio, dando atto dell’intervenuta pronuncia in corso di causa della cessazione degli effetti civili del matrimonio, poneva a carico del marito il pagamento di un assegno in favore della ex moglie di Euro 1.300,00 mensili, da rivalutarsi annualmente.

Avverso tale decisione l’uomo proponeva appello, contestando la debenza dell’assegno divorzile; la Corte di merito rigettava il gravame.

L’uomo ricorrendo in Cassazione deduce la mancata considerazione dei parametri previsti dall’art. 5, comma 6, l. n. 898/1970 per la determinazione della somma e il mancato bilanciamento tra gli indicatori previsti dalla norma avendo i Giudici di merito dato rilievo solo criterio del “divario reddituale tra i coniugi” e alle condizioni di salute della beneficiaria.

Gli Ermellini ritengono il ricorso infondato.

Il ricorrente non ha prospettato la assoluta carenza di motivazione della decisione sulla quantificazione dell’assegno divorzile, o l’incomprensibilità della stessa, risultando semplicemente criticato il modo in cui i parametri di riferimento sono stati valutati, attribuendo valore ad alcuni ed escludendo degli altri.

Infatti è corretta la decisione della Corte di Appello che ha valutato le condizioni sanitarie della donna, affetta da una grave forma di invalidità, ai fini della determinazione dell’assegno.

Dalla sentenza impugnata emerge chiaramente la considerazione, oltre che delle condizioni di salute della donna, del divario reddituale e della durata del matrimonio, nonché dei parametri collegati all’apporto di contributo personale ed economico alla conduzione della famiglia ed alla formazione del patrimonio personale, o comune.

Secondo il ricorrente, il tetto massimo della misura dell’assegno sarebbe stato sicuramente superato, tenuto conto che l’importo attribuito a titolo di assegno divorzile si aggiungeva alla pensione percepita dalla ex moglie, determinando un reddito che finiva per superare la cifra di Euro 2.000,00 al mese, e considerato anche che la donna godeva per intero della proprietà della casa familiare, di cui era divenuta proprietaria esclusiva, a seguito della cessione della quota, senza che la stessa avesse dato alcun contributo personale al matrimonio.

La Corte di appello, invero, ha affermato  “in via generale, la quantificazione dell’assegno divorzile deve tenere conto dei parametri di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, ma, nel caso di specie, in considerazione della particolare situazione di salute in cui versava la ex moglie, si doveva dare rilievo, in principalità, al consistente divario reddituale esistente.”

La stessa Corte ha, quindi, precisato “………certo è che, data la sua grave invalidità, si trova in ogni caso nella condizione di non avere risorse sufficienti per far fronte alle sue necessità di vita condizionate dalla malattia…. la sig.ra  è afflitta dalla malattia, con un decorso nel tempo caratterizzato da ricadute che hanno compromesso i sistemi neurologici motori, cerebrali, sensitivi e sfinterici, con la conseguenza che i parametri collegati all’apporto di contributo personale ed economico alla conduzione della famiglia ed alla formazione del patrimonio personale o comune si presentano irrilevanti, così come non pertinente è l’elemento della ragione della decisione in quanto nel giudizio di separazione le parti hanno assunto accordi congiunti abbandonando le domande di addebito”.

È pertanto evidente che il giudice di appello di merito ha tenuto conto di tutti i parametri menzionati nella L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, attribuendo motivatamente rilievo ad alcuni e non ad altri.

Nel quantificare l’assegno di divorzio, il Giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti, e contemporaneamente, i parametri di riferimento indicati dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, ma può anche prescindere da alcuni di essi, dando adeguata giustificazione delle sue valutazioni, con una scelta discrezionale non sindacabile in sede di legittimità.

In conclusione, il ricorso viene respinto.

Avv. Emanuela Foligno

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