La decisione selezionata si occupa in maniera molto precisa delle tematiche inerenti la pronunzia di addebito nella separazione dei coniugi e l’abbandono del tetto coniugale di uno di essi (Corte di Cassazione, I civile, ordinanza 27 marzo 2025, n. 8071).
I fatti e l’abbandono del tetto coniugale
La vicenda trae origine da un procedimento di separazione giudiziale dei coniugi.
Nel marzo del 2012, pochi giorni dopo la nascita della figlia, la moglie si era trasferita a casa dei genitori, in Castiglione dello Stiviere, unitamente alla neonata, facendo solo occasionalmente rientro alla casa coniugale nel corso degli anni successivi.
Con ricorso per separazione il marito aveva chiesto al Tribunale di Brescia di dichiarare la separazione personale con addebito a carico della moglie, deducendo che l’abbandono del tetto coniugale nel 2012 era avvenuto a sua insaputa e che successivamente la moglie si era recata nella casa coniugale solo nei fine settimana per consentire gli incontri padre – figlia.
Afferma inoltre che la moglie, dopo essersi traferita presso i suoi genitori, aveva tenuto comportamenti contrari all’art. 143, secondo comma, c.c. per non averlo assistito dopo le dimissioni ospedaliere a seguito di due interventi. Deduceva quindi di avere subito maltrattamenti fisici e psicologico da pare della moglie anche di fronte alla figlia. Inoltre riferiva di avere inviato alla moglie nel corso degli anni una serie di messaggi manifestandole il dissenso all’abbandono dell’abitazione coniugale che aveva formalizzato con raccomandata pec.
La vicenda giudiziaria
Il Tribunale di Brescia addebita la separazione alla donna, tuttavia in secondo grado viene revocata la dichiarazione di addebito.
Secondo la Corte di appello non vi sarebbero elementi tali da consentire una pronuncia di addebito della separazione alla moglie, essendo invece emerso che il disgregarsi del matrimonio era maturato gradatamente nel corso degli anni a causa di incomprensioni ed incompatibilità tra i coniugi e che ad un certo punto il marito aveva accettato lo stile di vita matrimoniale impostogli dalla moglie.
Pertanto, è stata dedotta l’esistenza di una crisi preesistente che aveva iniziato a manifestarsi dal 2009, connotata da frequenti litigi e da un primo breve abbandono della casa familiare da parte della donna, cui erano seguiti, dopo il rientro a casa della moglie, ulteriori frequenti liti di cui aveva riferito la vicina di casa, ha ritenuto che coniugi avessero provato a superare le difficoltà e a ricostruire il nucleo familiare anche attraverso la genitorialità perseguita mediante la procreazione medicalmente assistita, senza che, tuttavia, fossero emersi elementi concreti del superamento della crisi nonostante la nascita della bambina.
La questione viene posta al vaglio della Corte di Cassazione
Il marito lamenta, sotto vari profili, la statuizione con cui è stata respinta la pronuncia di addebito. Il ricorrente si duole che sia stato revocato l’addebito di colpa alla moglie, nonostante le prove di due violazioni di doveri coniugali, costituite dall’abbandono del tetto coniugale con la figlia e dal rifiuto di intrattenere rapporti sessuali con il marito, ascrivibili alla moglie.
Deduce la violazione degli articoli 2697 e 2727 c.c. in tema di onere di prova e di presunzioni, e lamenta che sia stata svalutata la prova documentale da lui offerta in merito all’assenza di una situazione di crisi familiare prima dell’abbandono del tetto coniugale da parte della moglie; si duole che sia stato revocato l’addebito senza considerare che la moglie non aveva adempiuto all’onere di prova che incombeva su di lei per contrastare i fatti provati dal marito.
La Cassazione statuisce che la dichiarazione di addebito della separazione implica la prova che la irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi. Pertanto, in caso di mancato raggiungimento della prova in relazione al fatto che il comportamento contrario ai predetti doveri tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa efficiente del fallimento della convivenza, legittimamente viene pronunciata la separazione senza addebito (Cass. n.40795/2021).
L’addebito della separazione
Inoltre, grava sulla parte che richieda l’addebito l’onere di provare sia la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio, sia l’efficacia causale di questi comportamenti nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza (Cass. n. 16691/2020).
Il volontario abbandono del tetto coniugale da parte di uno dei coniugi, ove attuato unilateralmente dal coniuge, di norma giustifica l’addebito a meno che l’autore della condotta non abbia dimostrato l’esistenza di una giusta causa ex art.146 c.c., o che l’abbandono sia stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge, o sia intervenuto in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile ed in conseguenza di tale fatto (Cass. n. 10719/2013; Cass. n. 25663/2014; Cass. n. 648/2000).
Ed ancora, l’anteriorità della crisi della coppia esclude il nesso causale tra la condotta di uno dei coniugi, violativa degli obblighi derivanti dal matrimonio, e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, integra un’eccezione in senso lato, e può essere rilevata d’ufficio, purché sia allegata dalla parte a ciò interessata e risulti dal materiale probatorio acquisito al processo.
Quindi per escludere il nesso causale, non ha rilievo la tolleranza dell’altro coniuge, né una rinuncia tacita all’adempimento dei doveri coniugali, aventi carattere indisponibile, anche se la sopportazione delle condotte altrui rappresentate come causa di addebito può essere presa in considerazione, unitamente ad altri elementi, quale indice rivelatore del fatto che l’affectio coniugalis era già venuta meno da tempo.
Ragionando in tal senso la Corte di appello si è conformata ai principi giurisprudenziali, tenuto conto che sotto molteplici profili le critiche intendono sollecitare una diversa ricostruzione fattuale.
Il travisamento della prova
Infine, riguardo il lamentato travisamento della prova, la S.C. ricorda che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora i fatti storici, rilevanti in causa siano stati comunque presi in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Nel caso qui in esame, il marito insiste nel sostenere che la colpa della separazione sia addebitale alla moglie, sostanzialmente proponendo ad auspicando una rivisitazione delle emergenze istruttorie, così svolgendo doglianze che non superano il vaglio di ammissibilità.
Venendo, infine, al tema di incapacità a testimoniare, invocato dal marito, tale incapacità sussiste quando il testimone è titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell’interesse ad agire e a contraddire di cui all’art. 100 c.p.c., con riferimento alla domanda in concreto formulata, e non ad altra eventuale domanda ipoteticamente proponibile, nel caso in esame, nemmeno ipotizzata e non un mero interesse di fatto.
Conclusivamente il ricorso viene integralmente rigettato.
Avv. Emanuela Foligno