Culpa in vigilando del datore di lavoro in materia di infortunio sul lavoro (Cassazione Civile, sez. VI, 06/04/2022, n.11227).

Culpa in vigilando del datore di lavoro è stata riconosciuta dai Giudici d’Appello di Roma, che in riforma della sentenza del Tribunale di Viterbo, hanno accolto la domanda di risarcimento del danno conseguito all’infortunio sul lavoro, condannando il datore di lavoro al pagamento della somma di Euro 61.873,50 (detratto l’importo di Euro 6.870,13 ricevuto dall’Inail) a titolo di danno biologico, comprensiva di danno morale e previa personalizzazione del danno.

La Corte di Roma,  applicando la regola di giudizio dettata dall’art. 2697 c.c. (che, in caso di domanda di condanna al pagamento del danno differenziale, prevede, ex art. 1218 c.c., che il datore di lavoro dimostri di avere adempiuto all’obbligo di sicurezza) e rilevando la contraddittorietà delle deposizioni testimoniali circa la movimentazione dei pezzi pesanti di ceramica (oltre i 25 kg) dal tornio al carrello di trasporto, ha ravvisato la culpa in vigilando dell’impresa che non aveva sorvegliato che lo spostamento del pezzo lavorato fosse effettuato in coppia da due operai, e non da uno solo.

La Società propone ricorso per Cassazione, evidenziando il comportamento abnorme del lavoratore infortunato in spregio alle direttive aziendali

Con il terzo motivo denunzia che la Corte territoriale ha trascurato che nell’ambito della procedura amministrativa avviata dall’Inail per l’accertamento dei postumi dell’infortunio era stata accertata una invalidità pari all’8%, accertamento che non è stato impugnato dal lavoratore (né in sede amministrativa né in sede giudiziale), con conseguente cristallizzazione della percentuale dei postumi (a differenza della percentuale pari al 14% rilevata dal CTU nominato in giudizio).

La Corte territoriale, motivando in punto di culpa in vigilando, pur dando atto della sussistenza di una direttiva datoriale che prescriveva che la movimentazione dei pezzi di ceramica superiori a 25 kg fosse effettuata da una coppia di operai (e non da uno solo), ha accertato la responsabilità del datore di lavoro,  in quanto “non impediva concretamente  la movimentazione da parte di un solo dipendente dei carichi, prassi che di fatto era solita avvenire anche solo nei momenti di temporanea assenza dei Capi reparto”; ha, inoltre, accertato la carenza di direttive con riguardo allo spostamento di pezzi pari a 25 kg  e l’assenza di prova circa la dedotta impossibilità di meccanizzare il passaggio dei pezzi di ceramica dal tornio al carrello.

Ergo, l’accertato comportamento del datore di lavoro, di omessa adozione delle idonee misure protettive e di culpa in vigilando, costituisce inadempimento agli obblighi protettivi tale da esaurire il nesso eziologico dell’infortunio occorso al lavoratore, così da radicarne in via esclusiva la responsabilità.

Il terzo motivo è infondato, in quanto il procedimento amministrativo previsto nell’ambito Inail al fine di determinare la liquidazione della rendita è autonomo e distinto rispetto all’accertamento del danno civilistico, di fonte contrattuale, subito per la violazione degli obblighi di prevenzione e sicurezza da parte del datore di lavoro.

Sul quarto motivo di ricorso, anch’esso inammissibile, la Suprema Corte evidenzia che in presenza di un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, anche personalizzato, e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi (definibili come danni morali) che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore.

In conclusione il ricorso viene integralmente rigettato con integrale conferma delle statuizioni di Appello sulla culpa in vigilando del datore di lavoro.

La redazione giuridica

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