Decesso provocato in via concausale dalla malattia professionale: la Suprema Corte analizza i termini di prescrizione per la rendita ai superstiti (Cassazione Civile, sez. lav., 15/02/2022, n.4982).

Decesso provocato in via concausale dalla malattia professionale innesca la domanda di riconoscimento del diritto alla rendita da parte del coniuge superstite.

In via amministrativa l’Inail negava il riconoscimento del beneficio adducendo l’intervenuta prescrizione.

Il Giudici di primo grado, egualmente, riteneva prescritto il diritto alla prestazione della rendita al coniuge superstite del lavoratore per decesso provocato dalla malattia professionale.

La decorrenza del termine triennale veniva ancorata alla data di presentazione del ricorso amministrativo (11 ottobre 2007), a tale epoca collocando la conoscenza della malattia di natura professionale e la riconducibilità al decesso dell’assicurato, alla stregua della relazione emergente dal certificato necroscopico (del 26 marzo 2007) attestante collasso cardiocircolatorio in paziente affetto da neoplasia polmonare.

Interposto appello, eccependo l’interruzione del termine prescrizionale all’esito della proposizione del ricorso, in data 29 luglio 2008, avverso il denegato riconoscimento della tecnopatia in via amministrativa, poi riconosciuta, con sentenza passata in giudicato, in epoca successiva alla proposizione della domanda di rendita ai superstiti (in data 28 luglio 2011), da ciò evidenziando la nuova interruzione del decorso del termine prescrizionale, la Corte territoriale di L’Aquila rigettava il gravame.

Per la Corte di merito, correttamente il primo Giudice aveva ravvisato la consapevolezza, nel coniuge superstite, che la malattia professionale, denunciata dal coniuge, fosse la causa del decesso provocato quantomeno in via concausale, attraverso la volontà di proseguire il giudizio proposto dal coniuge, per il riconoscimento dell’origine professionale della neoplasia polmonare, nella convinzione dell’origine tecnopatica della malattia denunciata, in vita, dal marito, ancorando la domanda di rendita ai superstiti (del 28.7.2011) al deposito della relazione peritale (il 3 maggio 2010), in quel giudizio promosso dal coniuge, in vita, per l’accertamento della natura tecnopatica della neoplasia polmonare.

Inoltre, non conduce a diversa conclusione l’errore in cui il CTU era incorso, il quale, esulando dall’ambito dei quesiti formulati nel giudizio di accertamento in ordine alla natura tecnopatica, si era spinto ad affermare che risultava essere il decesso provocato, per causa o concausa, dalla tecnopatia.

In buona sostanza, secondo i Giudici d’appello, la conoscenza o conoscibilità, per il familiare superstite, dell’efficienza causale o concausale della malattia professionale non poteva che coincidere con la prosecuzione dell’azione iniziata, dall’assicurato, al fine di far accertare la natura professionale della medesima malattia, anche a non voler ritenere esaustiva, sotto tale profilo, la causa di morte risultante dal certificato necroscopico.

Il coniuge ricorre per Cassazione.

La ricorrente lamenta, con il primo motivo, che la Corte d’Appello abbia violato, e falsamente applicato, al D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 112 e 85 ritenendo che al momento del decesso provocato dalla malattia professionale, 7 ottobre 2007, ella fosse in condizioni di conoscere il nesso di derivazione causale tra la patologia di cui il marito era portatore (neoplasia polmonare), per la quale aveva proposto domanda di rendita, da lei coltivata dopo il decesso accolta dal tribunale di Chieti e confermata dalla Corte d’Appello di L’Aquila, e, conseguentemente, abbia dichiarato prescritto, ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112, il diritto alla rendita ai superstiti fatto valere, con ricorso depositato il 28.11.2011, dopo oltre 3 anni e 150 giorni dal 7 ottobre 2007.

Deduce, in sintesi, che se al momento del decesso del marito ella era consapevole, e convinta, che questi fosse portatore della malattia professionale, poi riconosciuta in via giudiziale (neoplasia polmonare), non era, tuttavia, in condizioni di sapere che tale malattia professionale fosse causa o concausa del decesso del marito, anche tenuto conto del fatto che il certificato necroscopico (del 26.3.2007) ascriveva la causa della morte del coniuge a “collasso cardiocircolatorio in paziente affetto da neoplasia polmonare”, e tenuto altresì conto del fatto che le patologie del marito, affetto da cardiopatia ischemica post-infartuale e ipertensione arteriosa, potevano costituire presupposto per l’insorgenza di un collasso cardiocircolatorio.

Il motivo è inammissibile.

Secondo la costante giurisprudenza di legittimità ciò che è determinante, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, in relazione alla domanda per il riconoscimento della rendita ai familiari superstiti dell’assicurato, è la conoscenza o oggettiva conoscibilità del collegamento fra la malattia professionale indennizzabile e la morte dell’assicurato; in particolare, poi, la condizione conoscitiva dev’essere ancorata non ad uno stato interiore del familiare superstite ma ad elementi obiettivi o obiettivabili da cui desumere l’acquisita cognizione, da parte del medesimo soggetto, della malattia e del nesso causale fra malattia e morte dell’assicurato.

La sentenza della Corte d’appello si è conformata all’orientamento consolidato in materia secondo cui il dies a quo di decorrenza della prescrizione deve essere individuato con riferimento ad uno o più fatti che diano certezza, ricavata anche da presunzioni semplici, della conoscenza da parte dell’assicurato (o dei suoi aventi causa) dell’esistenza dello stato morboso, dell’eziologia professionale della malattia e del raggiungimento della soglia indennizzabile.

La Corte territoriale, con valutazione insindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto che la manifestazione della malattia professionale poteva ritenersi verificata quando la consapevolezza circa l’esistenza della malattia, la sua origine professionale e il suo grado invalidante erano desumibili da eventi oggettivi ed esterni alla persona dell’assicurato che costituiscano fatto noto ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., ovverosia al momento della riassunzione del giudizio (avviato proprio per accertare la natura professionale della patologia) e della certificazione del medico necroscopo.

In conclusione, il ricorso viene rigettato per essere la sentenza impugnata immune da censure.

Avv. Emanuela Foligno

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