Danni da emotrasfusione avvenuta nel 1963: termine di prescrizione e obblighi di vigilanza (Cass. civ., sez. III, 10 maggio 2022, n. 14748).

Danni da emotrasfusione e correlate domande giudiziali impongono l’analisi del termine di prescrizione e l’individuazione degli obblighi di controllo e protezione facenti capo al Ministero della salute.

La particolarità della questione esaminata dalla Suprema Corte risiede nel fatto che la emotrasfusione veniva somministrata nel lontano 1963.

Una donna cita a giudizio il Ministero della Salute e l’Azienda Ospedaliere onde ottenere il risarcimento dei danni (iure proprio e iure successionis) conseguenti all’infezione da HCV che aveva colpito il marito (deceduto nel 2008), a causa di un’emotrasfusione risalente al 1963 e deduce che l’epatite cronica da HCV veniva diagnosticata del 1996 e confermata nel 2001. In particolare, la donna deduce che nel corso delle procedure di accertamento dell’invalidità civile, cui si sottoponeva il marito, emergeva l’esistenza dell’infezione da HCV.
Il Tribunale riconosce la responsabilità del Ministero, rigetta l’eccezione di prescrizione della domanda e condanna al risarcimento del danno.

La Corte d’Appello, invece, in riforma della sentenza del primo Giudice, riconosce la prescrizione quinquennale dell’azione iure hereditatis, in quanto, proprio in forza degli esami diagnostici condotti nel 1996, doveva ritenersi la conoscenza e la consapevolezza della epatopatia contratta (data anche l’ormai acquisita conoscenza a partire dagli anni ’90 che le trasfusioni di sangue negli anni ’60, ’70 e ’80 erano facile via di infezione). Quanto al risarcimento del danno iure proprio, il termine di prescrizione decennale non era spirato, poiché decorreva dal decesso del coniuge nel 2008.
Tuttavia, all’epoca di fatti (1963) non vi erano test diagnostici idonei a rilevare il virus dell’epatite C. Per tale ragione, non era ipotizzabile una condotta doverosa, omessa la quale, si potesse configurare una responsabilità (omissiva idonea ad evitare i danni da emotrasfusione. Consegue che nel 1963, fermo il nesso eziologico (tra la trasfusione e l’infezione), non era individuabile l’elemento soggettivo della colpa, necessario per affermare la responsabilità civile.

La donna ricorre in Cassazione lamentando il termine di prescrizione del diritto al risarcimento dei danni da emotrasfusione, e la distinzione tra conoscenza e conoscibilità del fatto.

Il diritto al risarcimento dei danni da emotrasfusione è soggetto al termine di prescrizione quinquennale che decorre, a norma degli artt. 2935 e 2947, comma 1, c.c., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno, o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche (a tal fine coincidente non con la comunicazione del responso della Commissione medica ospedaliera di cui all’art. 4 l. n. 210/1992, bensì con la proposizione della relativa domanda amministrativa)» (Cass. n. 576/2008).

Più di recente, sul danno lungolatente, «in tema di risarcimento del danno alla salute causato da emotrasfusione con sangue infetto, ai fini dell’individuazione dell”exordium praescriptionis”, una volta dimostrata dalla vittima la data di presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell’indennizzo previsto dalla l. n. 210/1992, spetta alla controparte dimostrare che già prima di quella data il danneggiato conosceva o poteva conoscere, con l’ordinaria diligenza, l’esistenza della malattia e la sua riconducibilità causale alla trasfusione, anche per mezzo di presunzioni semplici, sempre che il fatto noto dal quale risalire a quello ignoto sia circostanza obiettivamente certa e non mera ipotesi o congettura, pena la violazione del divieto del ricorso alle “praesumptiones de praesumpto”.
Tuttavia, la Suprema Corte ritiene assorbente il secondo motivo, che rigetta: escludendosi l’individuazione di una violazione colposa all’epoca dei fatti (1963), non è possibile affermare la responsabilità per danni da emotrasfusione.
Per le emotrasfusioni anteriori al 1978 (quando fu disponibile il test diagnostico contro il virus HBV), veniva riconosciuta la responsabilità del Ministero, poiché già dalla fine degli anni ’60 era noto il rischio di infezione, rilevabile indirettamente con i test di funzionalità epatica mediante la determinazione delle transaminasi ALT ed il metodo dell’anti HbcAg e il Ministero era investito da specifici obblighi di controllo volti a impedire la trasmissione di malattie attraverso il sangue infetto (L. n. 592/1967; D.P.R. n. 1256/1971; L. n. 519/1973; L. n. 833/1973).

«In caso di patologie conseguenti ad infezione da virus HBV, HIV e HCV, contratte a seguito di emotrasfusioni o di somministrazione di emoderivati, non sussistono eventi autonomi e diversi, ma solo manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo, sicché anche prima dell’anno 1978, in cui il virus dell’epatite B fu definitivamente identificato in sede scientifica, con conseguente scoperta dei mezzi di prevedibilità delle relative infezioni, è configurabile la responsabilità del Ministero della salute per l’omissione dei controlli in materia di raccolta e distribuzione del sangue per uso terapeutico e sull’idoneità dello stesso ad essere oggetto di trasfusione, già consentiti dalle conoscenze mediche e dai dati scientifici del tempo (Fattispecie relativa a trasfusioni eseguite nell’anno 1976)» (Cass. n. 18520/2018, n. 2232/2016, con ampi riferimenti giurisprudenziali e normativi si veda Cass. n. 2790/2019).

Nel caso in analisi, risalente al 1963, si pone la questione di individuare la precisa fonte normativa introduttiva di specifici obblighi di vigilanza e controllo idonei a fondare un dovere di cautela la cui violazione fosse fonte di responsabilità civile per omissione colposa.
Solo la L. n. 592/1967 ha previsto specifiche attribuzioni al Ministero riguardo la raccolta, conservazione e distribuzione del sangue umano.

Pertanto, secondo la Suprema Corte, solo a partire dalla pubblicazione di tale legge, sono individuabili specifici obblighi di cautela la cui violazione è fonte di responsabilità extracontrattuale per omissione colposa da parte del Ministero della Salute.
Conclusivamente il ricorso viene rigettato, in quanto non è stato dimostrato che all’epoca dei fatti vi fosse la possibilità di testare e prevenire le infezioni e i conseguenti danni da emotrasfusioni.

Chi scrive non condivide le conclusioni della Cassazione. Fin dagli anni sessanta era noto il rischio di contagio attraverso le emotrasfusioni. La Legge 296 del ’58, già delineava i poteri e i doveri di controllo a tutela della salute pubblica.

Avv. Emanuela Foligno

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