Entrambi i Giudici di merito condannano il datore di lavoro (Enel SpA) al risarcimento del danno biologico differenziale per invalidità permanente in favore degli eredi del lavoratore deceduto. La Cassazione conferma la condanna (Cassazione Civile, sez. lav., 27/05/2024, n.14740).
La vicenda
Le prove del giudizio di merito hanno dimostrato l’esposizione del lavoratore sia al carattere gravoso delle mansioni, che ai rischi per la salute, in assenza della adozione delle necessarie misure di prevenzione, tra cui la sottoposizione a sorveglianza sanitaria.
Enel ricorre in Cassazione con plurime censure che, in sintesi, si sostanziano nella mancata valutazione del DVR, del CCNL e violazione dell’art. 2087 c.c.
Ed ancora, Enel lamenta che i Giudici di Appello avrebbero errato nel non avere considerato a defalco delle somme riconoscibili agli eredi in base ai parametri risarcitori civilistici tutte le somme già percepite dall’INAIL periodicamente a titolo di rendita. In particolare, secondo il datore di lavoro, avrebbero dovuto essere detratte sia la somma corrispondente alla capitalizzazione del danno biologico rivalutata, sia pure la somma corrispondete a tutti i ratei di rendita corrisposta dall’INAIL dalla data di riconoscimento della malattia professionale (14/2/1010) fino alla data della sentenza.
Il giudizio di rigetto della Cassazione
Innanzitutto gli Ermellini danno atto che la Corte romana ha accertato la responsabilità del datore di lavoro con criteri di tipo civilistico, conformemente all’orientamento consolidato.
Sulle allegazioni e prove fornite dal lavoratore, risulta accertato che egli svolgeva compiti che comportavano scuotimenti e vibrazioni, nonché posture incongrue e soggezione a fattori climatici sfavorevoli.
Pacifico anche che il datore di lavoro aveva violato le norme poste a tutela della salute e, in particolare, aveva omesso, fino al 2007, la sorveglianza sanitaria e la valutazione dei rischi connessi alla movimentazione manuale dei carichi, al sovraccarico biomeccanico degli arti, alle vibrazioni meccaniche ed aveva altresì omesso di informare e formare i lavoratori, come prescritto dal decreto legislativo 626/1994.
I Giudici di secondo grado hanno dato seguito al consolidato orientamento secondo cui grava sul lavoratore l’onere di provare di avere subito un danno a causa dell’attività svolta, nonché il nesso di causalità tra l’uno e l’altra, mentre incombe sul datore l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie al fine di evitare il danno, ricomprendendosi in questa categoria anche quelle misure di sicurezza c.d. innominate, cioè non espressamente contemplate dalla legge, ma comunque fondate su conoscenze tecnico-scientifiche o su altre fonti analoghe.
Il calcolo della liquidazione del danno biologico differenziale
Venendo, infine, al calcolo della liquidazione del danno biologico differenziale, esso è stato fatto correttamente.
È stato detratto dal danno biologico per la invalidità permanente, accertato secondo i comuni criteri civilistici sulla base delle tabelle predisposte dal Tribunale di Milano, la quota di rendita INAIL imputabile al danno biologico, evidenziando che non occorreva alcuna capitalizzazione della stessa risultando l’importo di 8.184,35 euro pari a quanto pacificamente percepito dall’assicurato fino al momento della sua morte avvenuta nel 2013.
Ergo, le censure del datore di lavoro inerenti alla sottrazione del valore capitale della rendita non sono pertinenti alla ratio decidendi della sentenza che ha sottratto dalla liquidazione del danno riconosciuto tutto quanto già corrisposto all’assicurato fino al decesso, senza individuare il montante capitale della rendita atteso che la erogazione questa si era interrotta al momento della morte.
Avv. Emanuela Foligno