Danno biologico terminale sofferto dalla vittima del sinistro (Cassazione civile. sez. III, 11/06/2022, n.15353).

Danno biologico terminale patito dalla vittima di sinistro stradale.

La Corte d’appello di Ancona, pronunciando sugli appelli principale e incidentale proposti, rispettivamente, dagli eredi della vittima e dalla Assicurazione del veicolo investitore, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato l’Assicurazione al risarcimento, in favore degli attori, dei danni dagli stessi subiti a seguito del decesso del proprio congiunto.

A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha determinato nella percentuale del 70% la responsabilità dell’automobilista nella causazione del sinistro, attribuendo al pedone il residuo 30% di responsabilità.

Gli eredi della vittima impugnano in Cassazione lamentando, per quanto qui di interesse, la erronea attribuzione di responsabilità nella causazione del sinistro (costituita dall’attraversamento al di fuori delle strisce pedonali), attribuendo a detta circostanza un valore del tutto sproporzionato.

Il motivo è inammissibile.

La Corte d’Appello ha correttamente valutato tutti gli elementi istruttori disponibili. Una volta affermata la corresponsabilità del pedone per aver attraversato al di fuori delle strisce pedonali in orario notturno (così provocando, a causa dell’una e dell’altra circostanza, l’insorgenza di un’obiettiva condizione di grave rischio per l’incolumità della propria persona), la successiva determinazione concreta della percentuale di colpa del pedone nella causazione del fatto, è avvenuta nell’esercizio della discrezionalità valutativa del giudice di merito (nella specie, non irragionevole, né abnorme), che, non è sindacabile in Cassazione.

Con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2059 2056 c.c., per avere la Corte erroneamente escluso il diritto al risarcimento iure hereditatis del danno biologico terminale derivante dalle lesioni subite dalla vittima, riconoscendo infondatamente l’avvenuto decorso di un brevissimo lasso di tempo tra l’incidente e il decesso, tale da escludere l’effettiva insorgenza del diritto della vittima alla risarcibilità di tale voce di danno.

Anche questa censura è inammissibile.

Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza, in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità del danno biologico terminale, in ragione – nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo.

Ciò posto, la Corte territoriale ha valutato in modo ragionevole e congruo  la brevità del lasso temporale di circa cinque ore intercorso tra il sinistro e il decesso della vittima, oltretutto in condizioni per la vittima di incapacità di percezione, pervenendo ad escludere il ricorso dei necessari presupposti di fatto idonei a giustificare l’integrazione di un danno terminale apprezzabile a carico del danneggiato.

Tale discrezionalità valutativa non è sindacabile in Cassazione, e, ad ogni modo, risulta ormai pacifico l’indirizzo giurisprudenziale sul “ lasso temporale “ utile per potere discorrere di danno da lucida agonia, che esclude categoricamente i periodi di poche ore.

Ciò ribadito,  la Corte d’Appello ha correttamente e logicamente evidenziato gli elementi di carattere critico che hanno sostanziato la valutazione  sulla mancata ricorrenza, nel breve periodo intercorso tra il sinistro e il decesso, di un’effettiva lucida consapevolezza della vittima dell’imminenza della propria morte, sì da escludere che la stessa possa avere effettivamente percepito la dimensione catastrofica del tempo immediatamente successivo all’investimento e quindi subito il cosiddetto danno da lucida agonia, o “catastrofale”, configurato nella giurisprudenza di legittimità.

Anche gli altri motivi di censura vengono dichiarati inammissibili-infondati e il ricorso viene integralmente rigettato con condanna alle spese.

Avv. Emanuela Foligno

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