Danno da lucro cessante derivante dal sinistro stradale (Cassazione civile, sez. VI, dep. 17/06/2022, n.19575)
Danno da lucro cessante patito dal motociclista vittima di un sinistro stradale.
L’uomo ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Napoli, esponendo di avere convenuto, dinanzi al Tribunale di Napoli, l’ Assicurazione, quale impresa designata per la Campania per la gestione dei sinistri posti a carico del Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, allo scopo di essere risarcito di tutti i danni conseguenti alle lesioni di grave entità, provocategli, in data 30 giugno 2005, dalla collisione del motoveicolo su cui viaggiava con un’auto di grosse dimensioni che, nel tentativo di superarlo, lo collideva al lato posteriore sinistro, determinandone la caduta al suolo per poi allontanarsi senza prestare soccorso.
Deduce, inoltre, che le lesioni riportate a causa della collisione gli provocavano un danno da lucro cessante.
Il Tribunale di Napoli, rigettava la domanda. La Corte d’Appello di Napoli ha accolto il gravame, ritenendo dimostrata la dinamica del sinistro e accertata la esclusiva responsabilità del conducente dell’auto rimasta sconosciuta; ha riconosciuto la ricorrenza di postumi permanenti del 24% e, assumendo come parametro di liquidazione del danno non patrimoniale le tabelle milanesi, ha liquidato la somma di Euro 109.450,00; accertata la ricorrenza di una invalidità temporanea, ha determinato i danni in Euro 2.940,00 e 1.470,00, rispettivamente, per quella assoluta e per quella relativa, ha aggiunto Euro 1.040,00 a titolo di danno patrimoniale per spese odontoiatriche; ha escluso anche il danno da lucro cessante per la pretesa perdita della capacità lavorativa generica e specifica, per mancanza di prova.
Con il primo motivo il ricorrente deduce omesso integrale risarcimento ed errata quantificazione. In particolare viene censurato il rigetto della domanda di risarcimento del danno da lucro cessante per perdita della capacità lavorativa specifica “atteso che, al di là della mera richiesta ed allegazione di parte, non v’e’ alcuna prova in atti, idonea a sostenerne la fondatezza, non potendo il generico ed apodittico riferimento ad esso, compiuto dal C.T.U., integrare un valido supporto probatorio, in carenza di adeguata motivazione sul punto”.
In buona sostanza, la tesi prospettata dal ricorrente è che la Corte d’Appello abbia omesso di tenere conto della compromissione della capacità lavorativa generica nella quantificazione del danno biologico ed abbia altresì omesso “la liquidazione a parte della riduzione della capacità lavorativa specifica”;
La censura addebita alla Corte territoriale il mancato impiego del ragionamento presuntivo per ritenere ricorrente la contrazione di reddito, ai fini del riconoscimento del danno da lucro cessante, giacché, secondo l’id quod plerumque accidit, la vittima di un danno biologico permanente di non lieve entità subisce un danno patrimoniale da lucro cessante che la Corte avrebbe potuto liquidare, in assenza di un reddito preesistente derivante da una stabile occupazione, ricorrendo al triplo della pensione sociale o al metodo equitativo.
Il motivo è inammissibile, perché non è stata dimostrata la ricorrenza di alcun error in iudicando a carico della Corte d’Appello, la quale si è limitata a negare la ricorrenza di prove in atti – evidentemente anche indiziarie – della ricorrenza del danno patrimoniale preteso dal ricorrente.
Le argomentazioni del ricorrente, solo finalizzate a offrire supporto alla tesi secondo cui la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere presuntivamente dimostrata la ricorrenza del danno da lucro cessante.
Ebbene, “chi censura un ragionamento presuntivo o il mancato utilizzo di esso non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice del merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014.”
Il Giudice di legittimità può essere investito “dell’errore in cui il Giudice di merito sia incorso se considera grave una presunzione (cioè un’inferenza) che non lo sia o sotto un profilo logico generale, o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi”, e lo stesso vale per il controllo della precisione e della concordanza”.
Il ricorso viene rigettato con condanna alle spese.
La redazione giuridica
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