E’ necessario individuare un sistema a punti, e non a forbice, anche per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale (Cass. Civ., Sez. III, n. 10579/2021 pubblicata il 21/4/2021 – Presidente Travaglino, Relatore Scoditti)

La decisione qui a commento costituisce un importante mutamento giurisprudenziale in tema di liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale.

La moglie e il fratello dell’automobilista deceduto a seguito di sinistro stradale citavano a giudizio dinnanzi al Tribunale di Siracusa il responsabile del sinistro e la Compagnia Assicuratrice, sulla base del giudicato penale di responsabilità per omicidio colposo, il risarcimento del danno per la morte del congiunto.

Il Tribunale accoglieva la domanda e liquidava in favore della vedova euro 144.208,00 per perdita parentale più euro 75.000,00 per danno biologico jure hereditatis; mentre il favore del fratello liquidava euro 76.615,00 per perdita parentale ed euro 75.000,00 per danno biologico jure hereditatis.

L’Assicurazione impugna in appello, e la Corte di Catania, in accoglimento dell’appello, rideterminava e riduceva gli importi utilizzando le Tabelle milanesi.

In particolare la Corte siciliana osservava innanzitutto che dovevano utilizzarsi le Tabelle milanesi e non quelle romane e che per il danno biologico terminale doveva farsi riferimento all’invalidità permanente assoluta prevista dalle tabelle nella forbice compresa tra Euro 97,00 ed Euro 145,00 per cui, considerato che il tempo trascorso fra la lesione e la morte era di due giorni, spettava la somma di Euro 290,00 (145×2), da ripartire fra gli aventi diritto, previa decurtazione del 50% per il concorso di colpa del danneggiato.

Per quanto concerne il danno da perdita parentale la Corte territoriale evidenziava che “le tabelle meneghine prevedevano per la moglie una somma compresa fra Euro 63.900,00 ed Euro 327.990,00 e per il fratello una somma compresa fra Euro 23.740,00 ed Euro 42.420,00, che, in base ai criteri indicati, il criterio della convivenza era da applicare solo in favore del coniuge, mentre il criterio dell’intensità della relazione affettivo-familiare andava applicato in favore di entrambi gli attori, specie in considerazione della giovane età del deceduto (con conseguente elisione, ex abrupto, del legame affettivo), e che per quanto riguardava la vedova andava valutata inoltre l’improvvisa perdita del coniuge subito dopo la celebrazione del matrimonio, con il conseguente venir meno delle aspettative di vita familiare”.

Secondo il ragionamento della Corte d’appello alla vedova spettava la somma di euro 172.193,00 (corrispondente al 70% tra il minimo e il massimo della forbice delle tabelle milanesi), mentre al fratello spettava la somma di euro 49.848,00 (corrispondente al 60% della forbice), previa decurtazione del 50% a titolo di concorso di colpa del danneggiato deceduto.

I congiunti impugnano la decisione d’appello lamentando la mancata adozione delle Tabelle del Tribunale di Roma.

Gli Ermellini ritengono la doglianza fondata ed osservano che il giudice di appello, facendo applicazione delle tabelle milanesi, è pervenuto alla liquidazione di un importo inferiore rispetto a quello di primo grado ricavato dalle tabelle romane.

In linea generale, i parametri delle tabelle predisposte dal Tribunale di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, ovvero quale criterio di riscontro e verifica della liquidazione diversa alla quale si sia pervenuti.

Conseguentemente è incongrua, e censurabile, la decisione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che risulti sproporzionata rispetto a quella cui l’adozione dei parametri tratti dalle tabelle di Milano consenta di pervenire.

Per quanto qui di interesse, venendo al danno da perdita del rapporto parentale, bisogna chiedersi se, le tabelle elaborate dal Tribunale di Roma sono recessive rispetto a quelle milanesi.

Ebbene, osserva il Collegio “la liquidazione del danno non patrimoniale mediante valutazione equitativa ha il carattere di norma del caso concreto non solo nella sua proiezione di giudicato (formale e sostanziale), ma anche, in senso lato, quale regola insuscettibile di estensione oltre le circostanze del caso perché non corrisponde all’applicazione di una fattispecie generale e astratta che sia suscettibile di reiterazione in altri casi”.

Detto in altri termini, la liquidazione equitativa deve garantire una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, poiché, ormai è pacificamente inaccettabile, che danni identici possano essere liquidati in misura diversa perché esaminati da differenti uffici giudiziari.

Proprio per garantire tale uniformità di trattamento si è definito “riferimento nazionale” il criterio di liquidazione predisposto dalle Tabelle di Milano, ed in tale visuale il Giudice che intenda discostarsi dai valori tabellari deve indicarne le motivazioni e la specificità del caso concreto.

Ergo, ne discende, sottolineano gli Ermellini, che non è lo scostamento dalle tabelle milanesi a fondare la violazione della norma di diritto, ma le tabelle sono il parametro per verificare se sia stato violato l’art. 1226 c.c.

La funzione che le tabelle svolgono è quella di fornire un parametro rilevante in sede di sindacato di legittimità.

L’omessa, o erronea, applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano comporta, secondo la Corte, l’integrazione della violazione dell’art. 1226 c.c.. per la corrispondenza del precipitato tabellare delle prassi giurisprudenziali alla corretta interpretazione della clausola di valutazione equitativa del danno.

E’ pacifico, e conforme alla giurisprudenza della Suprema Corte, che, qualora il giudice proceda alla liquidazione equitativa in applicazione delle Tabelle milanesi, nell’effettuare la necessaria personalizzazione, in base alle circostanze del caso concreto, possa superare i limiti minimi e massimi degli ordinari parametri previsti, solo quando “la specifica situazione presa in considerazione si caratterizzi per la presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto, in quanto elaborato in astratto in base all’oscillazione ipotizzabile in ragione delle diverse situazioni ordinariamente configurabili secondo l’id quod plerumque accidit, dando adeguatamente conto in motivazione di tali circostanze e di come esse siano state considerate”.

Ciò posto, la funzione di garanzia dell’uniformità delle decisioni che svolge la Tabella milanese è affidata al sistema del punto variabile.

Riguardo il danno da perdita parentale, però, non viene seguita la tecnica del punto, ma viene indicato un tetto minimo ed un tetto massimo. Tra il valore minimo e quello massimo vi è una significativa differenza e ne consegue che la tabella, così concepita, non realizza l’effetto di quella uniformità che invece dovrebbe essere garantita.

Invece, garantisce uniformità per la liquidazione del danno parentale, una tabella concepita sul sistema a punti, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione del caso concreto.

I requisiti che la tabella dovrebbe contenere sono: 1) adozione del criterio “a punto variabile”; 2) estrazione del valore medio del punto dai precedenti; 3) modularità; 4) elencazione delle circostanze di fatto rilevanti (tra le quali, da indicare come indefettibili, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza) e dei relativi punteggi.

Il Collegio rimarca che il proprio compito è quello di garantire l’uniforme interpretazione del diritto, e dunque, considerato che alle tabelle milanesi è stata conferita una funzione di riferimento nazionale, è necessario identificare l’adozione di parametri predeterminati per l’uniforme liquidazione anche del danno da perdita parentale.

Il tutto, ferma e impregiudicata, la possibilità di effettuare liquidazioni che si discostino da quelle tabellari per casi eccezionali compiutamente motivati.

Ed ancora, la individuazione di un sistema a punti anche per la liquidazione del danno parentale concretizza un importante mutamento evolutivo sulle controversie attualmente decise nel merito.

Al riguardo il Collegio precisa che “ove la liquidazione del danno parentale venga effettuata non seguendo una tabella basata sul sistema a punti, l’onere di motivazione del giudice di merito, che non abbia fatto applicazione di una siffatta tabella, sorge nel caso in cui si sia pervenuti ad una quantificazione del risarcimento che, alla luce delle circostanze del caso concreto, risulti inferiore a quella cui si sarebbe pervenuti utilizzando la tabella in discorso, o comunque risulti sproporzionata rispetto alla quantificazione cui l’adozione dei parametri tratti da tale tabella avrebbe consentito di pervenire.”

“In tale ottica, il criterio per la valutazione delle decisioni adottate sulla base del precedente orientamento è dunque quello dell’assenza o presenza di sproporzione rispetto al danno che si sarebbe determinato seguendo una tabella basata sul sistema a punti. Ove una tale sproporzione ricorra, il criterio di giudizio riposa nell’esame della motivazione della decisione.”

In conclusione la Suprema Corte afferma il seguente principio di diritto: “al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre l’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l’eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella”.

Avv. Emanuela Foligno

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