Accolto il ricorso di camice bianco e struttura ospedaliera, in seguito alla condanna a risarcire una paziente per danno da responsabilità medica

Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata. Lo ha ribadito la Cassazione con la sentenza n. 13677/2021 pronunciandosi sul ricorso di un medico e della struttura sanitaria in cui quest’ultimo operava.

In particolare, l’Azienda ospedaliera era stata condannata, in sede di merito, a risarcire una paziente per i gravi danni alla salute da questa subiti in conseguenza dell’inadempimento degli obblighi professionali di cura assunti dai propri sanitari. La corte di appello aveva, con la stessa decisione, condannato il camice bianco ricorrente, in solido con un altro professionista, a tenere indenne la struttura dalle conseguenze dell’accoglimento delle pretese risarcitorie della danneggiata.

A fondamento della decisione assunta, il Collegio distrettuale aveva evidenziato come, sulla base degli elementi istruttori complessivamente acquisiti, fossero emersi gravi elementi di colpa riscontrabili nel comportamento dei sanitari della struttura convenuta, oltre alla relativa connessione causale con i danni denunciati dalla paziente, sottolineando, di seguito, come la responsabilità del professionista, in relazione alla provocazione di detti danni, giustificasse il conseguente riconoscimento della fondatezza della domanda di rivalsa spiegata dalla struttura sanitaria nei relativi confronti.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il ricorrente censurava la sentenza impugnata per avere il Giudice di secondo grado erroneamente ritenuto sussistente la prova del nesso di causalità tra il comportamento professionale colposo allo stesso ascritto e i danni alla persona denunciati dalla paziente.

Con ricorso incidentale, l’Azienda Ospedaliera a sua volta eccepiva che la corte territoriale avesse erroneamente attestato la sussistenza del nesso di causalità tra il comportamento contrattuale della struttura sanitaria convenuta e i danni alla salute denunciati dall’originaria attrice.

Gli Ermellini hanno ritenuto entrambi i motivi fondati.

Per la Cassazione, infatti, la corte di merito si era totalmente sottratta al dovere di esplicitare, in termini analitici, il ragionamento probatorio indispensabile ai fini della corroborazione, sul piano probabilistico, dell’affermazione consistita nel rilievo della preponderanza dell’evidenza del nesso di causa tra il comportamento contrattuale dei convenuti rispetto alle conseguenze dannose dedotte dal paziente.

Nel caso di specie, il Giudice a quo, nel rilevare la connessione causale tra le omissioni colpose ascritte ai sanitari della struttura convenuta, aveva del tutto omesso di precisare, anche sul piano del ragionamento probatorio, in quale misura probabilistica l’eventuale corretta esecuzione del comportamento sanitario avrebbe determinato un evento significativamente diverso da quello effettivamente occorso (o ne avrebbe comunque ritardato la verificazione), venendo così meno al dovere di attestare, sul piano probatorio, l’effettivo assolvimento, da parte dell’attrice, dell’onere probatorio sulla stessa incombente in ordine alla dimostrazione del dedotto nesso di casualità.

La redazione giuridica

Se sei stato/a vittima di un errore medico e vuoi ottenere, in breve tempo, il risarcimento dei danni fisici subiti o dei danni da morte di un familiare, clicca qui

Leggi anche:

Shock settico per sepsi multipla contratta durante il ricovero

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui