Danno differenziale posto in capo al datore di lavoro nonostante l’accordo transattivo concluso con il lavoratore che rinunziava a rivendicazioni retributive (Cassazione Civile, sez. lav., dep. 08/03/2022, n.7471).

Danno differenziale in capo al datore di lavoro viene accertato dalla Corte di Appello di Palermo, che in riforma della decisione del Tribunale, aveva condannato il datore di lavoro a pagare al lavoratore la complessiva somma di Euro 16.544,4, a titolo di risarcimento del danno differenziale conseguente alla invalidità permanente pari al 12%, accertata quale conseguenza della malattia professionale.

La Corte territoriale, preliminarmente, riteneva non rilevante la intervenuta transazione tra le parti con rinuncia da parte del lavoratore, trattandosi di accordo precedente al momento in cui il lavoratore aveva contezza della malattia professionale oggetto di giudizio.

Nel merito, veniva valutata sussistente la responsabilità datoriale nella determinazione della malattia professionale, trattandosi di attività di lavoro che avrebbe richiesto l’esercizio dell’attività di sorveglianza sanitaria, nonché la adozione di misure di prevenzione quale l’avvicendamento tra differenti lavoratori nell’espletamento delle mansioni assegnate (realizzazione linee elettriche e posa dei pali anche in zone impervie).

Su tali presupposti, la Corte siciliana riconosceva l’esistenza del danno differenziale a carico della società, ovverosia la differenza tra il danno riconosciuto dall’Inail e quello invece liquidabile al lavoratore attraverso l’applicazione delle Tabelle milanesi.

Il datore di lavoro impugna la decisione in Cassazione.

Tra le parti vi era un accordo con il quale il dipendente aveva rinunciato a qualsivoglia rivendicazione retributiva legata al rapporto di lavoro intercorso, compresi risarcimenti a qualunque titolo : da ciò la società fa derivare l’erroneità della valutazione della Corte di merito circa la non interferenza del detto accordo sulla pretesa avanzata.

La censura è infondata.

La Corte osserva che l’accordo transattivo, e la rinuncia ivi contenuta, deve essere tale da esprimere con chiarezza l’effettiva sussistenza di una volontà dispositiva della parte rinunciante; a tal fine deve altresì essere evidente che la rinuncia sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi

In altri termini, può avere validità ed efficacia la transazione e rinuncia nell’ipotesi che si tratti di diritti noti e di cui il rinunciante abbia piena consapevolezza.

Nel caso concreto, siffatte circostanze non sono presenti poiché non possono considerarsi noti, determinati o determinabili diritti sorti successivamente alla rinuncia a seguito dell’accertamento della patologia di origine professionale e del conseguente diritto al danno differenziale.

Si tratta di una situazione subentrata rispetto all’epoca della rinuncia sottoscritta dal lavorratore, e in quanto tali non riferibili ad essa.

Con il secondo motivo la società datrice rileva la intervenuta prescrizione dei diritti, essendo generica la lettera del 2009 e, quindi, non utile ai fini della interruzione della prescrizione. Deduce, inoltre, come la Corte di Appello abbia errato nell’individuare il momento iniziale di decorrenza del termine prescrizionale, collegandolo al momento di cessazione del rapporto di lavoro e non alla cessazione dello svolgimento delle mansioni.

Ebbene, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno conseguente a una malattia causata al dipendente dal comportamento colposo del datore di lavoro, decorre dal momento in cui il danno si è manifestato e l’origine professionale della malattia può ritenersi conoscibile dal danneggiato.

La prescrizione non decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Infine, riguardo alla terza censura, inerente l’accertamento incidentale in sede civile del fatto che costituisce reato, la Suprema Corte osserva che sia nel caso di azione proposta dal lavoratore per la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno differenziale, sia nel caso dell’azione di regresso proposta dall’Inail, devono essere utilizzate le regole comuni della responsabilità contrattuale, anche in ordine all’elemento soggettivo della colpa ed al nesso causale fra fatto ed evento dannoso.

La Corte territoriale ha accertato, l’effettivo svolgimento delle mansioni assegnate al lavoratore e, attraverso CTU medico legale, la rapportabilità delle patologie riscontrate alla attività di lavoro.

Pertanto, la valutazione svolta ed i criteri utilizzati per la determinazione del danno differenziale, sono coerenti e corretti.

Il ricorso viene rigettato con condanna alle spese.

Avv. Emanuela Foligno

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