Il danno erariale rappresenta il vero ostacolo ad ogni buona e saggia trattativa stragiudiziale con i convenuti che non hanno una assicurazione e che gestiscono in proprio il contenzioso

In questa mia breve disamina mi soffermerò sul danno erariale derivante da omessa sottoscrizione del consenso informato ovvero da consenso informato redatto in maniera semplificata.

Chiariamo immediatamente che il consenso informato è il documento con il quale il paziente viene reso edotto dal personale sanitario proponente in merito alla propria malattia nonché alla conseguente terapia alla quale dovrà sottoporsi.

La sottoscrizione del citato documento da parte del paziente rappresenta il presupposto necessario affinché possa poi essere in concreto praticato il trattamento sanitario dal medico e deve essere dettagliato, tale da rispondere a tutti i dubbi del paziente e non certo redatto in maniera generica e semplificata.

L’omesso consenso informato ovvero un consenso informato generico non determina un illecito penale, bensì un illecito civile, con la conseguenza che il paziente potrà richiedere il risarcimento dei danni al medico nonché alla struttura ospedaliera.

Dunque, il danno cagionato al nosocomio viene tecnicamente definito danno erariale, in quanto il risarcimento sarà materialmente effettuato in favore del paziente da parte dello Stato.

Orbene, nella fattispecie analizzata dalla Corte dei Conti della Regione Lombardia (sentenza n° 96/2018), la Procura Regionale citava in giudizio un medico in servizio presso una azienda ospedaliera al fine di conseguire il pagamento di una rilevante somma che lo Stato aveva erogato in favore di una paziente, a titolo di risarcimento del danno per una ipotesi di malpractice medica.

Senza soffermarsi sugli aspetti relativi all’operazione chirurgica, al sanitario veniva altresì ascritta una responsabilità di tipo civilistico, afferente la sottoposizione al paziente di un modulo di consenso informato alquanto generico, atteso che al paziente non era stata prospettata la possibilità di un intervento chirurgico successivo.

In altre parole, il consenso informato sottoposto al paziente era piuttosto generico, in quanto questi non veniva reso edotto della circostanza che il trattamento medico al quale sarebbe stato sottoposto avrebbe potuto cagionare la necessità di una successiva operazione, con conseguente pregiudizio della libertà di autodeterminazione del paziente.

Peraltro, tale lacuna del consenso informato era stata riscontrato anche dalle relazioni sanitarie acquisite agli atti.

Dall’altra parte, la tesi difensiva sostenuta dal sanitario, con specifico riguardo alla doglianza relativa al consenso informato, era la seguente.

Il medico sosteneva che oltre al modulo di consenso informato, consegnatogli due mesi prima dell’intervento, il paziente aveva anche a disposizione il numero di telefono del medico per eventuali dubbi, affermando infine che il paziente aveva un elevato grado culturale, trattandosi di un professionista (rectius: un architetto).

Il Collegio, sempre con specifico riguardo alla parte relativa al consenso informato, ha innanzitutto rilevato che il documento in parola risultava sottoscritto dal paziente nella medesima data dell’intervento chirurgico, non essendovi agli atti pertanto alcuna prova che lo stesso sia stato consegnato due mesi prima al paziente.

In secondo luogo, la Corte di Conti della Regione Lombardia, dopo un breve excursus normativo sulle fonti normative del consenso informato, ha precisato che tale documento non deve essere redatto in maniera semplificata, bensì analitico e circostanziato, a nulla rilevando il grado culturale del paziente.

Infatti, la circostanza che il paziente fosse un architetto e dunque un soggetto certamente dotato di un elevato grado culturale, non esime il sanitario da responsabilità, circa appunto la genericità del consenso informato, atteso che un architetto certamente dispone di conoscenze tecniche non afferenti al campo medico.

Per tal motivo, quindi, grava in capo al medico l’obbligo di personalizzare il consenso informato, nel senso che tale documento deve essere integrato in tutti i punti tali da rappresentare in toto tutto ciò che riguarda la malattia e la conseguente terapia, in modo da non ledere il diritto di autodeterminazione del paziente se sottoporsi o meno ad un determinato intervento chirurgico.

Nr consegue, infine, che la presenza di un consenso informato generico ha cagionato allo Stato un danno erariale, riconducibile appunto al sanitario che pertanto veniva condannato al pagamento di una somma di denaro in favore dell’Azienda Ospedaliera.

 

Avv. Aldo Antonio Montella

(Foro di Napoli)

 

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