Impedire il rientro del coniuge nella abitazione, attraverso il cambio della serratura della porta di ingresso, configura condotta violenta, cui consegue il diritto risarcimento del danno morale

La vicenda

A seguito di ricorso per separazione giudiziale proposto dall’attrice, il Tribunale di Catania aveva disposto l’assegnazione della casa coniugale al marito, quale proprietario dell’immobile. Quest’ultimo aveva così provveduto al cambio di serratura dell’appartamento, impedendole di accedere alla casa coniugale, di riprendersi gli effetti personali ed i capi di abbigliamento invernali, rimanendone definitivamente privata. La condotta dell’uomo, il quale aveva privato la moglie della naturale possibilità di accedere alla casa coniugale, aveva cagionato all’attrice danni economici e non patrimoniali, compreso sia il danno morale che quello esistenziale.

Come è noto, il danno morale attiene alla sfera esclusivamente personale del danneggiato ed alla sua sensibilità emotiva, mentre il danno esistenziale fa anche riferimento all’ambiente esterno ed al modo di rapportarsi con esso del soggetto leso, nell’estrinsecazione della propria personalità che viene impoverita o lesa. Il danno morale soggettivo è stato recentemente ampliato dalla Corte di Cassazione (con le sentenze n. 7281, 7282, 7283 in data 12.5.2003), ricevendo un ulteriore avallo dalla Corte Costituzionale (sentenza n, 23 del 11.7.2003) che vi ha ricompreso anche “la fattispecie corrispondente nella sua oggettività all’astratta previsione di una figura di reato, con la conseguente possibilità che, ai fini civili, la responsabilità sia ritenuta per effetto di una presunzione di legge” (Corte Cost. 11.7.2003, n. 233).

La violenza privata

Ebbene, il Tribunale di Catania (sentenza n. 1533/2020) ha ricondotto la fattispecie esaminata nell’astratta previsione del reato di violenza privata di cui all’art. 610 c.p., come è statuito dalla Suprema Corte, in casi simili, in cui uno dei due coniugi aveva cambiato la serratura della porta di casa escludendo l’altro coniuge dalla possibilità di entrarvi.

Invero la Cassazione, con la sentenza n. 38910 depositata il 24 agosto 2018, fornendo una nuova lettura del reato di cui all’art. 610 c.p. (a mente del quale: “chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa”), ha ribadito che l’elemento della violenza nel reato di cui all’art. 610 c.p. si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione, potendo consistere anche in una violenza “impropria”, che si attua attraverso l’uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione. Tanto emerge pacificamente anche da un orientamento giurisprudenziale ormai costante secondo il quale, in applicazione del principio sopra detto, si ravvisa il delitto di violenza privata anche nella condotta di chi impedisce l’esercizio dell’altrui diritto di accedere ad un locale o ad una delle stanze di un’abitazione, chiudendone a chiave la serratura (Cassazione penale sezione V, n. 4284 del 29.9.2015).

Alla luce di tali principi, il giudice del capoluogo siciliano ha affermato che impedire il rientro del coniuge nella abitazione, attraverso il cambio della serratura della porta di ingresso, configura quella condotta violenta richiesta dalla norma di cui all’ art 610 c.pc. idonea ad esercitare pressione sulla volontà di autodeterminazione altrui. Ne consegue quindi il diritto risarcimento del danno morale.

Il danno esistenziale

Venendo al danno esistenziale, l’art. 2 della Costituzione “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Il danno esistenziale è individuabile nelle ripercussioni sulle attività non reddituali dei danneggiati ed, in particolare, nella alterazione delle normali abitudini di vita; consiste quindi in un’alterazione dei normali ritmi di vita che si riflettono sulla personalità del soggetto danneggiato, incidendo negativamente, sulle normali attività quotidiane e provocando uno stato di disagio conseguente alla impossibilità di esplicazione di attività realizzatrici della persona umana, pur non cagionando una vera e propria patologia sotto il profilo medico-legale.

La tutela deve quindi ammettersi in base al precetto costituzionale violato, indipendentemente dalla prova di perdite patrimoniali, in quanto oggetto del risarcimento è la diminuzione o privazioni di valori della persona inerenti al bene protetto.

Nel caso di specie, l’attrice aveva addotto e dimostrato circostanze configurabili il danno morale, in particolare, in conseguenza dello spoglio, da parte del coniuge, del compossesso della casa di abitazione dall’ottobre 2013 al febbraio 2014 e del forzato ricovero nella mansarda di sua proprietà.

Il risarcimento del danno morale e danno esistenziale

“Detto spoglio – ha affermato il Tribunale di Catania – può in astratto configurare il reato di violenza privata di cui all’art. 610 c.p. e consente avvalendosi di presunzioni semplici e di massime di esperienza, di procedere ad una valutazione equitativa del danno morale conseguente, presumibilmente, al patimento sofferto dall’attrice in ragione delle conseguenze dello spoglio, in particolare, la sofferenza morale vissuta in correlazione all’improvvisa impossibilità di accedere alla propria dimora, alle proprie stanze, vissute per tutti gli anni della vita matrimoniale nonché ai propri effetti personali”. Non potendosi fare ricorso alle tabelle del Tribunale di Milano, in assenza di alcun danno biologico, tale danno è stato quantificato in 100,00 euro per ogni mese in cui è perdurato lo spoglio, ossia in 500,00 euro (per cinque mesi, da ottobre 2013 a febbraio 2014, compreso).

A tale somma si è aggiunta anche quella relativa al danno esistenziale (inteso quale sofferenza patita dall’attrice a seguito della intuibile limitazione delle proprie abitudini e del proprio stile di vita, e privazione della vita di relazione con amici e vicini), pure quantificato in 100,00 euro per ogni mese in cui era perdurato lo spoglio, ossia in 500,00 euro (per cinque mesi, da ottobre 2013 a febbraio 2014, compreso).

Avv. Sabrina Caporale

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