Per la Cassazione il danno morale terminale presuppone uno stato di coscienza della vittima, proprio perché consiste nella sofferenza dovuta alla consapevolezza della gravità delle lesioni
Il giudice di primo grado ha riconosciuto un danno cosiddetto morale terminale che, considerata la breve sopravvivenza della vittima (15 giorni) in stato vegetativo, non andava riconosciuto. Con questa motivazione la Corte di appello di Firenze ha riformato la sentenza con cui il Tribunale aveva decretato la esclusiva responsabilità del conducente e del proprietario di un veicolo, oltre che della compagnia di assicurazione, per la morte di una giovane ragazza deceduta in seguito a un incidente stradale.
I convenuti erano stati condannati al risarcimento dei danni sia iure proprio che iure hereditatis.
Per la Corte territoriale la ragazza era sopravvissuta per circa 15 giorni, ma in stato di incoscienza; pertanto non aveva potuto avere percezione della imminente fine o della gravità del suo stato, con la conseguente impossibilità di percepire una sofferenza morale.
I congiunti della vittima, nel rivolgersi alla Suprema Corte, lamentavano però violazione degli articoli 1226 e 2056 c.c., in quanto, ai fini della liquidazione del danno biologico e morale terminale non sarebbe stata data rilevanza – a loro avviso – alla lucidità della vittima, così come alla sopravvivenza oltre le 24 ore, quest’ultima accertata e pacifica.
La Cassazione, con l’ordinanza n. 30516/2019, ha chiarito che il danno biologico terminale è liquidabile iure hereditatis, ove via sia stata una sopravvivenza della vittima oltre le 24 ore, tempo convenzionalmente stimato perché il diritto al risarcimento “entri” nel patrimonio del danneggiato e si possa quindi trasmettere agli eredi.
Tale danno si liquida a prescindere dalla incoscienza della vittima, trattandosi di una lesione oggettiva della salute, che rileva in quanto tale anche se non è percepita dal danneggiato.
Il danno morale cosiddetto terminale, invece, presuppone uno stato di coscienza della vittima, proprio perché consiste nella sofferenza dovuta alla consapevolezza della gravità delle lesioni.
Nel caso in esame, la corte di appello aveva dunque correttamente escluso il danno morale terminale, non essendovi prova dello stato cosciente della vittima, che, anzi, risultava in stato vegetativo.
La redazione giuridica
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