In tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno cd. esistenziale
La richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale
A seguito di un infortunio sul lavoro, la vittima subiva un danno non patrimoniale (biologico) pari al 25%; il giudice di primo grado, fatta applicazione delle tabelle milanesi e, quindi del criterio del cd. punto appesantito, inclusivo del danno morale, condannava la società datrice di lavoro al risarcimento di tale danno, quantificato in 125.000,00 euro previa personalizzazione dello stesso.
Riconosciuta una riduzione della capacità lavorativa specifica pari a 2/3 del danno biologico, il predetto Tribunale determinava il relativo ristoro in 60.000 euro; dal credito complessivo detraeva poi, quanto riconosciuto dall’INAIL per la componente di danno biologico.
La Corte d’Appello di Bologna confermava la decisione, salvo condannare la società a corrispondere l’ulteriore somma di 1.961, 00 euro a titolo di spese del giudizio di primo grado.
La vicenda è giunta in Cassazione. Il lavoratore lamentava l’errata quantificazione del danno morale “subiettivo e transeunte” che i giudici di merito avrebbero dovuto considerare autonomamente rispetto a quello biologico. Inoltre, a detta del ricorrente, la pronuncia era errata nella parte in cui non aveva considerato il cd. danno esistenziale consistente nel peggioramento delle proprie condizioni di vita quotidiane.
La Corte di Cassazione (ordinanza n. 31727/2019) ha rigettato il ricorso perché infondato.
Il risarcimento del danno morale
Nel confermare la decisione di primo grado, la Corte d’Appello aveva dato conto del fatto che il giudice di prime cure avesse espressamente riconosciuto e liquidato il danno morale attraverso la cd. unificazione del punto.
A giudizio degli Ermellini, la decisione è coerente con l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, il danno biologico, rappresentato dall’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, è pregiudizio ontologicamente diverso dal cd. danno morale soggettivo, inteso come sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute con la conseguenza che, ove dedotto e provato, tale ultimo danno deve formare oggetto di separata valutazione e liquidazione.
Tuttavia, la censura del ricorrente era priva di specificità non avendo quest’ultimo dimostrato l’avvenuta allegazione nel giudizio di primo grado, di un pregiudizio identificato come «danno morale “subiettivo e transeunte anche come pregiudizio psichico”» ontologicamente distinto da quello ristorato a titolo di danno morale dalla sentenza impugnata e di averne denunziato in appello l’omessa considerazione da parte del primo giudice.
Parimenti i giudici della Suprema Corte hanno reputato infondata la doglianza relativa alla inadeguatezza del sistema tabellare a garantire l’integrale ristoro del danno non patrimoniale. Al contrario, le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, risultano in grado di soddisfare l’esigenza di garantire l’adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi, grazie anche alla loro diffusione applicativa su tutto il territorio nazionale.
Il danno esistenziale
Quanto al danno esistenziale, il Supremo Collegio ha ribadito che “in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico – inteso, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e delle sua attività dinamico relazionali – e del danno cd. esistenziale, atteso che quest’ultimo consiste proprio nel ”vulnus” arrecato a tutti gli aspetti dinamico-relazionali della persona conseguenti alla lesione della salute e atteso che con esso si individuano pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali “i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale”)”, di talché correttamente la sentenza impugnata non aveva considerato, in via autonoma, il pregiudizio del quale il ricorrente lamentava la mancata liquidazione.
La personalizzazione del danno
Si è anche chiarito che, in tema di quantificazione del danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge e dal criterio equitativo uniforme adottato dai giudici di merito (secondo il sistema cd. del punto variabile) può essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali e peculiari, che fuoriescono da quelle normali ed indefettibili secondo “l’id quod plerumque accidit”, entro le quali non è giustificata alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.
Nel caso di specie, la corte di merito aveva confermato la misura percentuale del danno biologico (comprensivo del cd. danno esistenziale), attribuita dal giudice di prime cure sulla base della espletata CTU, che peraltro, il ricorrente non aveva neppure validamente censurato con l’atto di appello.
Per tutte queste ragioni, il ricorso è stato rigettato.
Avv. Sabrina Caporale
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