Tribunale di Milano, sentenza 11 febbraio 2016

Con sentenza dell’11 febbraio 2016, il Tribunale di Milano ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da c.d. perdita parentale, al coniuge, ai due figli minori e alla famiglia originaria di una giovane donna, deceduta prematuramente a seguito di incidente stradale, dal quale rimaneva fatalmente vittima.

«Quanto ai danni lamentati dagli attori, figli, genitori e sorella della defunta, a titolo di perdita del rapporto parentale, va indubbiamente riconosciuto ai suddetti il ristoro, del pregiudizio derivante dalla lesione del rapporto parentale con la de cuius. In tale voce va ricompreso altresì l’aspetto della sofferenza soggettiva patita in occasione dell’evento luttuoso, ciò al fine di evitare ingiustificate duplicazioni risarcitorie».

Il Tribunale, in verità, ricorre alle “normali” nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza, per affermare che “il dolore patito dal marito per la perdita della propria coniuge presenta una intensità notevole tenuto anche conto che con la morte è irrimediabilmente compromessa la possiblità di godersi la congiunta e di trascorrere con essa presumibilmente la propria intera vita e venendo pertanto a mancare ogni possibilità di progetto comune”. E allo stesso tempo, tiene conto del fatto che i coniugi erano sposati da 15 anni con due figli minori, e che “il sodalizio matrimoniale era sostenuto dalla completa dedizione della donna alla cura della famiglia e della casa”.

Allo stesso modo, non poteva sottacersi dell’evidente grave danno sofferto dai minori per la perdita tragica della loro madre “in tenera età o comunque in età adolescenziale in cui la figura della mamma è quantomai indispensabile e preponderante nella vita quotidiana”, e del dolore dei genitori e della sorella della stessa sui quali sarebbe ricaduto, altresì, il doloroso compito di aiutare la famiglia nucleare a superare il tragico momento, “pur nella consapevolezza che la perdita di una madre e di una moglie non può essere certamente surrogata con la presenza dei nonni e della zia”.

Concludeva perciò, il giudice milanese, affermando l’opportunità di distinguere la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale ai predetti, tenuto conto dell’equa graduazione con riferimento alle singole figure parentali.

Si rammenta che nel 2007 il Tribunale di Roma, per ovviare agli inconvenienti emersi nel tempo con l’applicazione del sistema di riferimento per il danno da perdita di un congiunto, elaborato fin dal 1996, ha immaginato un diverso sistema basato su di una interpretazione che fosse meglio in grado di garantire una adeguata personalizzazione del risarcimento del danno. (Cassano).

Tale sistema muoveva dalla enucleazione, pur consapevole della ovvia considerazione della molteplicità dei fattori che devono essere considerati nella determinazione del danno da morte, di una serie di essi che avevano la caratteristica di essere presenti in tutti i casi, e cioè:

1) il rapporto di parentela esistente tra la vittima ed il superstite, dovendosi presumere che il danno, è secondo l’id quod plerumque accidit, tanto maggiore quanto più stretto è il rapporto;

2) l’età del supersite, dovendosi anche in questo caso ritenere esistente un rapporto di fuzionalità inversa essendo tanto maggiore il danno quanto minore è l’età del superstite quando il danno si verifica, in quanto destinato a protrarsi per un tempo maggiore. (Cassano).

Anche la Corte di Cassazione è di recente intervenuta in materia, enunciando e ribadendo la nozione e i criteri risarcitori del danno parentale, nella specie, operando la distinzione con il danno tanatologico (danno da morte), non risarcibile iure hereditatis trattandosi di diritto personalissimo della vittima (diritto alla vita), insuscettibile di trasmissione per via ereditaria a differenza del danno parentale che produce una alterazione della agenda quotidiana dei parenti sopravvissuti e che si sostanzia in un pregiudizio di valenza esistenziale, risarcibile “iure proprio” agli stretti congiunti della vittima.

Il danno da perdita del rapporto parentale va al di là del crudo dolore che la morte in sé di una persona cara, tanto più se preceduta da agonia, provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi esso nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti” (Cass. 9 maggio 2011, n. 10107).

Viene, in altre parole, valutato il “vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti” (Cass., 19 agosto 2003, n. 12124).

Tale pregiudizio si colloca nell’area dell’art. 2059 c.c. a tutela di un interesse “garantito”, di rilievo costituzionale, non avente natura economica, e rispetto al quale non opera il limite ivi previsto in correlazione all’art. 185 c.p., in ragione della natura del valore inciso, ossia di danno che non si presta per sua natura, ad una valutazione monetaria di mercato.

In particolare, la Suprema Corte ha puntualizzato che “il danno parentale è ontologicamente diverso da quello che consegue alla lesione della integrità psicofisica (danno lato sensu, biologico), trattandosi, “non già della violazione del rapporto familiare quanto piuttosto delle conseguenze che dall’irreversibile venir meno del godimento del congiunto e dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali discendono (Cass., 12 giugno 2006, n. 13546).

Ne deriva, come anche affermato dal tribunale lombardo, che il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, in quanto ontologicamente diverso dal danno morale soggettivo contingente, può essere riconosciuto a favore dei congiunti unitamente a quest’ultimo, senza che possa ravvisarsi una duplicazione di risarcimento. (Cass. Civ., 19/08/2003, n. 12124). A seguito della morte di un familiare, il danno alla cerchia degli affetti non costituisce, infatti, un danno “riflesso” o “di rimbalzo” bensì un danno “diretto” sofferto iure proprioin quanto l’evento morte è plurioffensivo, non solamente causando l’estinzione della vita della vittima primaria, che subisce il massimo sacrificio del relativo diritto personalissimo, ma altresì determinando l’estinzione del rapporto parentale con i congiunti della vittima, a loro volta lesi nell’interesse alla intangibilità della sfera degli affetti reciproci ed alla scambievole solidarietà che connota la vita familiare.(Cass., 12 luglio 2006, n. 15760; Cass., 15 luglio 2005, n. 15019; Cass., 31 maggio 2003, n. 8827; Cass., 21 maggio 2003, n. 8828).

Avv. Sabrina Caporale

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