La domanda di perdita di chance si tramuta in risarcimento da perdita anticipata del rapporto parentale, ove sia certo e dimostrato che la condotta illecita abbia cagionato l’anticipazione dell’evento fatale (Cassazione Civile, sez. III, sentenza n. 13870 del 06/07/2020)

Coniuge e figlio del paziente deceduto ricorrono per la cassazione della sentenza n. 1618/17, del 20 settembre 2017, della Corte di Appello di Catanzaro, che accogliendo parzialmente il gravame esperito dall’Azienda Ospedaliera, contro la sentenza n. 201/13, del 31 gennaio 2013, del Tribunale di Catanzaro – ha rideterminato, nel minor importo di euro 150.280,00, la somma ad essi dovuta a titolo di risarcimento del danno “iure heriditatis”, in relazione all’avvenuto decesso del congiunto, lasciando immutato il danno da perdita anticipata del rapporto parentale.

Radicato il giudizio, veniva istruito anche attraverso CTU Medico-Legale che confermava le inadeguate cure del paziente per la reale patologia sofferta.

Esperito gravame dell’Azienda Ospedaliera, il Giudice di seconde cure riduceva notevolmente l’entità del risarcimento del danno iure hereditatis, portandola, dall’iniziale cifra di euro 798.977,00, a quella di euro 150.280,00, sul rilievo che la liquidazione operata dal Tribunale fosse avvenuta, erroneamente, utilizzando “i criteri stabiliti per determinare il danno biologico da invalidità permanente (al 100%), notoriamente parametrato alla presumibile durata della vita del danneggiato”, mentre si sarebbe “dovuto tenere conto della vita effettiva del paziente utilizzando i criteri stabiliti per la liquidazione del danno da inabilità temporanea assoluta”.

Avverso la decisione della Corte catanzarese propongono ricorso per cassazione i congiunti, sulla base di due motivi, e, per quanto qui di interesse, censurano in particolare che il Giudice del merito non avrebbe tenuto conto di tutti i profili di pregiudizio pervenendo, così, ad una liquidazione assolutamente irrisoria rispetto alle caratteristiche della fattispecie concreta.

Lamentano, inoltre, che la Corte territoriale non abbia tenuto in alcun conto nè il danno da perdita di chance, da maggiore o migliore sopravvivenza, subito dal loro congiunto in ragione della ritardata diagnosi della patologia che lo condusse alla morte, nè quello cd. catastrofale, derivante dalla consapevolezza, dapprima, dell’aggravarsi della propria condizione patologica e, poi, con gravissima ed abnorme sofferenza, della propria fine.

Secondo la Suprema Corte, è infondata la doglianza dei ricorrenti relativa alla mancata inclusione – nel danno iure hereditatis ad essi riconosciuto – del danno da perdita di chance da maggiore o migliore sopravvivenza, subito dal loro congiunto in ragione della ritardata diagnosi della patologia che lo condusse alla morte.

La sentenza impugnata ha qualificato non solo come colposa la condotta dei sanitari dell’Azienda Ospedaliera, ma anche ravvisato “il nesso eziologico tra detta condotta e la morte del paziente”, ritenendo che “la diagnosi di stenosi aortica se effettuata tempestivamente avrebbe consentito ai sanitari di effettuare l’intervento chirurgico di sostituzione valvolare e di evitare con molta probabilità l’exitus del paziente”, e ciò “tenuto conto che statisticamente la percentuale di mortalità negli interventi di sostituzione valvolare è bassissima (57%), laddove eseguito in condizioni cliniche ottimali”.

La Corte territoriale ha ravvisato nella omessa tempestiva diagnosi di stenosi aortica la causa della morte del paziente: non vi è spazio per la risarcibilità anche del danno da perdita di chance di maggiore e migliore sopravvivenza.

Gli Ermellini ribadiscono che “la domanda giudiziale che configuri una ipotesi di danno da perdita di “chance” di sopravvivenza (fatto valere dai congiunti della vittima “iure hereditario”)”, nonchè “un danno da perdita di “chance” di godere del rapporto parentale fatto valere dai parenti “iure proprio””, ripete “il suo autonomo fondamento in ragione della incertezza sull’anticipazione dell’evento morte. Quelle stesse pretese si tramutano, di converso, in domanda di risarcimento “tout court” del danno da perdita anticipata del rapporto parentale, ove sia certo e dimostrabile, sul piano eventistico, che la condotta illecita abbia cagionato l’anticipazione dell’evento fatale”. In tale ipotesi, infatti, costituisce un evidente paralogismo l’evocazione della fattispecie della chance (in quanto “fondato sull’equivoco lessicale indotto dalla locuzione “perdita della possibilità di vivere meglio e più a lungo”), giacché, qui, l’evento di danno è specularmente costituito dalla perdita anticipata della vita e dall’impedimento a vivere il tempo residuo in condizioni migliori e consapevoli. In altri termini, nei casi in cui l’evento di danno sia costituito non da una possibilità sinonimo di incertezza del risultato sperato – ma dal (mancato) risultato stesso, non di “chance” perduta par lecito discorrere, bensì di altro e diverso evento di danno, in ambito sanitario, la perdita anticipata della vita, rigorosamente accertata come conseguenza dell’omissione sul piano causale”.

Nel caso esaminato non vi era ragione per risarcire un danno da perdita di chance, che è da escludere, ribadiscono gli Ermellini, tutte le volte che la condotta (commissiva o più spesso omissiva) colpevolmente tenuta dal sanitario ha cagionato la morte del paziente, mentre una diversa condotta (diagnosi corretta e tempestiva) ne avrebbe consentito la guarigione, alla luce dell’accertamento della disposta CTU”, visto che in un simile caso “l’evento (conseguenza del concorso di due cause, la malattia e la condotta colpevole) sarà attribuibile interamente al sanitario, chiamato a rispondere del danno biologico cagionato al paziente e del danno da lesione del rapporto parentale cagionato ai familiari.

Avv. Emanuela Foligno

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