Per il presidente del Segretariato Italiano dei Giovani Medici, gestire gli specializzandi senza prima mettere a punto cruciali aspetti organizzativi è «ennesimo tentativo di sacrificare la formazione all’altare della sostenibilità economica di situazioni che non sono più tollerabili»

Il Segretariato Italiano Giovani Medici, però, si è espresso in maniera molto negativa rispetto alla proposta dell’Intersindacale, puntando il dito sulla situazione degli specializzandi usati come “merce di scambio”, spostati da una parte all’altra come tappabuchi senza tener conto della formazione.

A fare il punto con «Responsabile Civile» è Andrea Silenzi, presidente nazionale del SIGM, che ci ricorda come «Purtroppo in sanità c’è il grosso problema della pianificazione e programmazione delle risorse umane che riguarda non solo i giovani medici ma, più in generale, tutti i professionisti sanitari: in un contesto fortemente organizzato, con una sanità moderna e un sistema complesso che dipende da tanti fattori, non può non esserci una pianificazione e un’idea di quali saranno i professionisti che serviranno di qui a dieci anni per rispondere a specifici bisogni della popolazione».

Ma la programmazione, in Italia, «è assente da tempo ed è una grossa problematica sulla quale si sta iniziando a lavorare solo ora». È da questo presupposto, insomma, che bisogna partire per capire i vari ambiti e le problematiche della formazione e dell’accesso al lavoro in ambito medico e sanitario.

Il problema esistente  soprattutto nel campo della specializzazione è contingente: «Se laureo un determinato numero di medici in un anno, dovrei poter garantire loro una prosecuzione di formazione post laurea, altrimenti, quegli stessi medici non sono utili al sistema». Questa formazione, nello specifico può essere assicurata o con scuole di specializzazione o con  un corso specifico triennale regionale per diventare abilitato al convenzionamento in medicina generale (dal momento che l’Italia è l’unico paese dell’Ue, assieme al Lussemburgo in cui non esiste una scuola di specializzazione in medicina generale, ovvero primary health care). Va da sé, spiega Silenzi, che i numeri messi così a disposizione a livello di formazione «dovrebbero avere una comunicazione diretta con i numeri dei neo laureati, altrimenti il sistema collassa…».

Ed è in questo contesto che si delineano le criticità nell’iter di chi entra nelle scuole di specializzazione (criticità che non riguarda tutti, ma percentuali alte, che si aggirano attorno alla metà più uno come ci spiega ancora il presidente Sigm): il problema fondamentale è che gli specializzandi «si trovano a non avere un programma didattico professionalizzante ben presente e, soprattutto, i colleghi sono utilizzati come tappabuchi delle attività assistenziali dei vari policlinici universitari e delle aziende ospedaliere universitarie della rete formativa nella quale operano».

Attenzione, però, quello di “rete formativa” non è un concetto nuovo, ed è lo stesso Silenzi a ricordarlo: «è presente dal 1999 nel nostro regolamento in cui si parla della necessità e dell’obbligo di creare delle reti formative in cui distinguere le strutture di sede e le strutture complementari aggregate, che devono rappresentare, però, il meglio che la sanità può offrire e che dovrebbero essere integrate, mettendo a disposizione degli specializzandi spazi e turnazioni, cioè un percorso didattico professionalizzante che segue dei criteri di formazione precisi». Obiettivi comprensibili e che sono stati rivisti lo scorso anno dal decreto interministeriale, ci spiega Silenzi, ma «si fatica ad avere un reale percorso e quindi una reale attività formativa».

Le ragioni di questa “fatica”? «Molto spesso – poiché mancano medici strutturati, e a maggior ragione ora a causa del problema non affrontato da molti anni del monte orario – gli specializzandi, a causa di carenze di organico, finiscono per venir meno al percorso ideale di progressione formativa» andando piuttosto a inserirsi in contesti dove vengono “riutilizzati” per coprire magari situazioni di emergenza dal punto di vista del personale.

Una realtà di per sé già confusionaria, che si ingigantisce se non si procede «con una messa a sistema delle criticità strutturali». Un primo passo sarebbe già «l’identificazione attraverso indicatori di performance del volume di attività di quello che è il meglio delle realtà universitarie che devono essere inserite nella rete formativa regionale» e che potrebbero essere accreditate «secondo una logica abbastanza semplice e che sarebbe anche facilmente disponibile attraverso il piano nazionale esiti».

Gestire gli specializzandi senza prima mettere a punto questi aspetti organizzativi «non sarebbe altro che l’ennesimo tentativo di sacrificare la formazione all’altare della sostenibilità economica di situazioni che non sono più tollerabili». Il timore del SIGM, insomma, è che «in una situazione in cui c’è il blocco del turnover e già un grandissimo precariato dei neo-specialisti, lo specializzando – in base all’idea dell’Intersindacale che ciclicamente ritorna – finisca per cadere dalla padella alla brace, senza che si mantenga nessun riguardo alla qualità della formazione: gli specializzandi, così, diventano i tappabuchi, non solo dei policlinici universitari dei quali risolvono i problemi di organico, ma anche delle strutture ospedaliere che non vengono identificate attraverso indicatori di performance e selezionate di conseguenza, ma in cui viene utilizzata la formazione perché in quel momento costa meno».

Con conseguenze negative sulla qualità della formazione e sulla costruzione della rete: perché è giusto costruire una rete tra università, ospedali e territorio (quindi asl e varie realtà), ma solo secondo un criterio ben definito per quel che riguarda il programma didattico formalizzante. E, soprattutto, la rete deve essere della maggior qualità possibile, quindi bisogna prima accreditare il meglio possibile, affrontando strutture che rispondano a diverse casistiche. Su questo si deve costruire la rete e non viceversa, ottemperando solo a esigenze dettate da carenze di organico.

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